Filosofo della domenica

Marco Filoni, autore di: “L’azione politica del filosofo: La vita e il pensiero di Alexandre Kojève”, uscito nel 2021.

Intervista a Filoni di Pietro Pinna Pintor, giugno 2023.

Alexander è sempre rimasto avvolto in un’aura di leggenda e di mitologia e lo si deve soprattutto al fatto che fosse un filosofo della domenica, come lui si definì in seguito, dopo la guerra, quando lavorava ormai a tempo pieno per il governo francese.

L’esperienza come filosofo di Kojève inizia con il seminario sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel, opera che ancora non era stata tradotta in francese, e che lui presenta facendo un’operazione che è stata definita di “alta macelleria filosofica”. A lui interessa poco l’originale e quindi legge Hegel ma ci mette il concetto di morte, quindi Heidegger, il concetto di lavoro, quindi Marx, e il concetto di coscienza di sé, quindi Freud. E fa questa operazione filologicamente improbabile ma teoreticamente molto ricca e interessante perché  offre una risposta a ciò che di oscuro stava accadendo in Europa. Le sue lezioni attirano l’attenzione di tutti gli intellettuali dell’epoca che si aspettano da lui una carriera da filosofo. Kojève invece chiede di entrare nell’amministrazione francese. Inizia come interprete, poi come consigliere,ma rapidamente il suo ruolo di negoziatore diventa importante per il paese nelle trattative economiche e commerciali a livello europeo e intenazionale.

Alexandre Kojève tenne il suo celebre seminario sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel a Parigi, presso l’École Pratique des Hautes Études, dal 1933 al 1939, su invito di Alexandre Koyré.

Perché questa scelta? In una intervista poche settimane prima di morire disse che a lui non interessavano i filosofi perché la filosofia è finita esattamente come la storia. 

Con Hegel e attraverso Hegel ha riempito il secolo scorso di una serie di concetti che erano operativi, funzionavano: la fine della storia, il desiderio, la coscienza di sé, il desiderio del desiderio… Ha fornito la sintassi della filosofia con un linguaggio, una terminologia, una grammatica operativa. Kojeve aveva costruito una perfetta macchina mitologica in seno alla filosofia. E questa macchina mitologica rispondeva alla fame di miti che si aveva in Europa negli anni 40 e 50.

Dopo il seminario su Hegel, un altro aspetto interessante del di Kojeve è il suo riferirsi (p.es. Stalin) e relazionarsi con personaggi della cultura ufficiale come Leo Strauss, Carl Schmitt, Gaston Fessard.

Il passo che Kojeve aveva nella discussione intellettuale era un po’ sulla provocazione, cioè gli piaceva molto non essere mai banale e quindi avere delle posizioni che stupissero l’interlocutore nel bene e nel male. Il fatto è che spesso era difficile scindere la serietà di certe affermazioni dal tasso di provocazione di quelle stesse affermazioni. Ossia questo era un gioco intellettuale di cui Kojeve si compiaceva o era davvero il suo pensiero?

Esempio: Kojeve scrive a Schmitt che oggi bisognerebbe leggere al posto di Napoleone Stalin (Napoleone industrializzato): è un’affermazione paradossale, una provocazione oppure dobbiamo prenderlo sul serio?

Filoni: Sono fermamente convinto della banalità dell’affermazione che l’opera è distinta dalla biografia. Io credo che la biografia è parte dell’opera e viceversa, tanto più per un personaggio come Kojeve. 

Nel suo ruolo di negoziatore e suggeritore di politici si impegnò completamente, ma nel tempo libero continuò i suoi studi  e coltivò importanti relazioni con intellettuali e amici. 

Leo Strauss

, suo amico per tutta la vita, sosteneva che il filosofo deve fornire le basi per l’azione politica. Kojeve, invece, rispondeva che il filosofo deve agire politicamente, deve intervenire nella realtà. Nel senso che non c’è nessuna morale dietro all’azione politica e il filosofo deve agire politicamente.

…quel seminario su Hegel, e in particolare la parte riguardante la dialettica servo-padrone, ebbe un’importanza decisiva per gli intellettuali francesi dell’epoca, influenzando diversi ambiti di riìcerca e studio.

Certe relazioni con personaggi compromessi, per esempio del governo di vichy o ex nazisti come Schmitt o emissari del regime staliniano, hanno fatto pensare che lui fosse un doppiogiochista.

Filoni: a me piace pensare che facesse addidittura il triplo o il quadruplo gioco non per ragioni di opportunità, nel senso che stava su più fronti.  Dal punto di vista teorico è interessante la formalizzazione e l’autorizzazione di questo modo di fare. Cioè Kojeve era perfettamente cosciente del fatto che la politica andava giocata con i mezzi della politica.

I sospetti che Kojeve fosse una spia del Kgb non ha mai trovato  conferme o smentite e d’altra parte egli aveva ammesso contatti con agenti sovietici. Pensiamo infatti che sua madre viveva ancora in Russia e quindi era potenzialmente ricattabile.

Filoni parla di una postura di Kojeve per cui giocava sempre su più fronti: nessuna remora di carattere morale a stare sempre su più fronti. Riteneva che per perseguire un certo scopo politico si potesse parlare con il regine di Vichy, aiutare la resistenza e parlare con “Stalin”. 

Kojeve odierà sempre l’idea di Sartre e di Camus dell’intellettuale impegnato. (50:00)

Kojeve era un conservatoree cisono molte più affinità con Smith, con un certo pensiero reazionario che non con il pensiero marxista.

IL testo scritto da Kojeve tra il 44 e il 45, comunemente chiamato l’impero latino, dice: di fronte ai due imperi sullo scacchiere mondiale, quello sovietico e quello anglo-americano, noi possiamo “mettere su” un nuovo impero, quello mediterraneo: Francia, Italia, Spagna e tutte le ex-colonie africane, che abbia una cosacrazion e del Vaticano dal punto di vista spirituale. L’idea di un terzo impero viene bocciata da Robert Marjolin (segretario gen OCSE e commissione EU) e da De Gaulle come un’idea della propaganda di Vichy. Secondo Filoni Kojeve considera la seconda guerra mond. la pietra tombale dello stato nazionale, mentre l’idea di impero è una categoria che piace per esempio a Smith.

Filoni: Kojeve funziona, è quella mitologia operativa che ha una funzione molto ben determinata, ecco cos’è politicamente.

In una conferenza agli industriali renani Kojeve dice che noi dobbiamo aiutare le colonie affinché diventino degli acquirenti delle cose che produciamo. 

Capisco che Filoni voglia trovare una originalità nel pensiero di Kojeve guardando alle sue proposte concrete. Mi sembra che siano tutte idee non reazionarie ma fuori tempo. In questo caso il colonialismo, subito dopo la seconda guerra modiale, diventa una formula di governo molto instabile da sostenere e poco vantaggiosa economicamente. Molto meglio strappare le materie prime con la forza del ricatto e della corruzione che lasciare crescere una “società civile” che consuma i prodotti della fabbriche europee e americane. Anzi, la decolonizzazione si trasforma in una rapina generale e in uno sfruttamento criminale delle risorse che è più vorace del colonialismo ottocentesco.

Anche il concetto di impero latino è fragile di fronte a una evoluzione tecnologica che spinge verso la globalizzazione dei mercati. Oggi si torna a parlare di imperi (americano, cinese, russo e tanti altri sembra che si affaccino per raggiungere una egemonia), ma nessuno di questi riesce ad uscire dalla logica di avere una influenza mercantile e militare superiore a quella che una globalizzazione ormai strutturata permette di avere: l’interdipendenza delle economia, una divisione del lavoro su scala mondiale, una finanza che travalica i confini nazionali, anche i confini geopolitici degli imperi. L’attuale ritorno alla geopolitica è una dimostrazione della difficoltà che tutti i politici, gli economisti, gli amministratori… pubblici e privati hanno di decifrare i cambiamenti siociali e materiali. Non i cambiamenti geopolitici (le strategie inerti degli imperi: tutte teorie fumose, niente di concreto) ma i cambiamenti dei rapporti di lavoro attraverso le tecnologie; i cambiamenti dei modelli culturali, dei linguaggi, che identificano i gruppi sociali e le tribù; la frammentazione dei ruoli e delle relazioni incanalate attraverso i cosiddetti social che social non sono, ma difentano flussi di consenso, di opinioni e di azioni; le guerre e gli scontri militari fra lobby di potere economiche e ideologiche. 

Tornando a Kojeve, non c’è nulla che assomigli a un modo originale di condurre i giochi di mediazione, se non quello di fingere che l’azione del mediatore, del negoziatore, non sia politica ma soltanto diretta a un fine che sia conclusivo.

Le conclusioni di ogni negoziato, concreto o intellettuale che sia, non durano mai in eterno, dieventano sempre storia e a volte la peggiore da raccontare.

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