Kojeve: autorità e fine della storia

Remo Bodei: Alexandre Kojève – Pensatore di confine. (con Marco FILONI)

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Premessa. Teoria e prassi:  11a tesi di Marx su Feurbach: finora i filosofi hanno interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo.

Bodei: non si può cambiare il mondo senza interpretarlo perché altrimenti sarebbe un attivismo cieco, così come l’interpretazione senza l’azione sarebbe impotente

Prassi non vuol dire azione: dal sesto libro  dell’etica nicomachea di Aristotele la prassi è un modo di conoscenza che è distinto dall’episteme o scienza. La scienza riguarda quello che non può essere diversamente da ciò che è. In tutti gli altri casi fuori dalla scienza io ho bisogno di Phronesis, saggezza, che mi dice di volta in volta come le cose vanno affrontate. Mentre la scienza non può mutare determinate verità, e non implica l’azione, la prassi invece implica che si decida sulle cose future.

Kojeve contesta la visione di Strauss che contrappone la visione del filosofo, solitario e rivolto al presente e all’essere, a quella del politico (compromesso, futuro, consenso, efficacia…). Secondo Kojeve il filosofo non è un saggio, e deve entrare nella storia, svolgere la sua azione (come Platone va a Siracusa).

Il centro del discorso di Kojeve si articola sul rapporto autorità – forza. Marco Filoni ha scoperto nel 2004 un testo di Kojeve sul tema dell’autorità.

Autorità, dice Kojeve è una situazione che esclude sia la forza sia la persuasione. ossia vengo obbedito senza obbligare o discutere i miei ordini.

L’autorità è meno di un ordine e più di un consiglio (Theodor Mommsen). L’autorità non può basarsi sulla forza ma la forza, dopo essersi stabilizzata, si trasforma in autorità. Riferimento a Platone: autorità si ha quando qualcuno ne sa più di chi obbedisce ed è in grado di offrire una soluzione migliore; esempi del pastore rispetto al gregge, del timoniere rispetto ai passeggeri della nave, del medico rispetto al malato. Questa immagine del re paragonata al buon pastore (che ritroviamo nella religione cristiana) è simbolo di una linea di confine tra chi sa e chi invece è un gregge: gli uomini sono considerati animali di allevamento. È un modello senza sviluppo in cui non c’è possibilità di emancipazione per il gregge.

Diverso è per la chiesa. Come ha detto Focault il potere pastorale si basa sul fatto che il sacerdote, come Gesù, si sacrifica per l’ultima pecorella. Sacrificarsi e umiliarsi dà potere.

Kojeve: L’autorità è la possibilità che ha un agente di agire su altri senza che questi altri reagiscano su di lui pur essendo capaci di farlo, non incontra opposizione, non implica opposizione discussione compromesso.

Considera quattro tipi: autorità del padre, della giustizia, della saggezza e previsione, del padrone. Dio rappresenta il modello a cui ogni autorità è riferibile.

Le mani congiunte della preghiera sono il gesto dello schiavo per farsi stringere i polsi da una corda.

KojeveOltre alla spontanea accettazione, l’autorità deve implicare il riconoscimento. Kojeve porta l’esempio dei tedeschi che dopo la prima guerra mondiale non hanno riconosciuto la vittoria degli alleati e hanno sostenuto che operai e socialisti hanno pugnalato alle spalle i militari al fronte.

Il problema dell’autorità e del potere non deve essere visto solo nella prospettiva di un sacrificio della propria vita e dei propri beni in favore di qualcuno che nemmeno si conosce (come quasi sempre è capitato nelle guerre), o di una congiura dei potenti, o di uno sfruttamento dell’ignoranza. C’è qualcosa di più, che riguarda un mistero gaudioso: l’identificazione con chi comanda ha il carattere del sublime politico. Come il sublime nel campo estetico implica una elevazione dell’animo verso cose grandi, come quando leggiamo grandi opere e ci identifichiamo. Questo sublime politico è come l’idea di partecipare a qualcosa di grande, come per la preghiera rispetto a Dio.

Si condividono intimamente gli ordini e si ha fiducia nella legittimità di chi le emette.

Nell’obbedire non c’è solo appiattimento verso il basso ma elevazione verso chi comanda o chi esige come nel padre nostro che “sia fatta la tua volontà”.

C’è una gioia nell’obbedienza, un elemento di protezione e sicurezza che l’obbedienza dà. Ciò non vuol dire che sia una cosa buona obbedire al tiranno.

La tirannia è una trappola per il tiranno stesso, che ha paura di tutti: non si può abbandonare la tirannide perché chi ha subito è disposto a farti a pezzi (Machiavelli, Montesquieu…)

Kojeve osserva che le tirannidi antiche sono quelle in cui un individuo o una fazione impone agli altri il proprio volere. È una lotta aristocratica spesso per la gloria: si cerca il riconoscimento non di chiunque ma delle persone che sono in grado di apprezzare il tiranno. C’è emulazione, un riconoscimento non forzato.

La tirannide moderna invece è una tirannide di massa in cui si cerca il riconoscimento di tutti. Kojeve osserva che questo desiderio illimitato del riconoscimento contagia anche le democrazie.

Le dittature del novecento si basano sull’affrancare i lavoratori, emancipare le donne, ridurre l’autorità delle famiglie sui figli rendendoli maggiorenni il più presto possibile, nel diminuire il numero dei criminali e squilibrati, elevare il livello culturale di tutte le classi sociali.

Per Bodei la soprastante osservazione di Kojeve è interessante. A me sembra fuorviante: le dittature del ‘900 hanno militarizzato i lavoratori nelle fabbriche; costretto le donne a rimanere al livello più basso nelle gerarchie della famiglia come del lavoro; hanno sostituito il padre con lo Stato-padre e concesso ai figli di diventare consumatori precocemente per garantire un consenso superficiale al regime; criminali e squilibrati non scompaiono e se non vanno in galera o  in manicomio, numerosi finiscono con l’essere attivi negli apparati della dittatura. 

Nella dialettica signoria-servitù (fenomenologia di Hegel) rischiare la vita implica  l’uscita dallo stato animale. Negli umani c’è qualcosa di più importante della conservazione della vita. In questa lotta che nasce da una specie di stato di natura hobbesiano, il vincitore è colui che viene riconosciuto tale dal vinto che si trasforma in suo schiavo.

Questo porta all’ottundimento del signore che gode senza far nulla del frutto del lavoro del servo, mentre il servo foggia se stesso e si prepara alla rivincita attraverso la paura della morte e attraverso la trasformazione della materia. questa vicenda millenaria si conclude per Kojeve con la famigerata teoria della fine della storia, o della fine dell’uomo (nell’interpretazione di Fukuyama).

La fine della storia è il momento in cui si avrà uno stato universale e omogeneo, cioè uno stato senza classi. Questo stato ha iniziato a realizzarsi con Napoleone quando con il codice civile sono stati estesi dei diritti.

Il capitalismo fordista è donante, mentre il comunismo sovietico è prendente. secondo Kojeve il capitalismo sarà vincente se riuscirà a essere donante. Il lato oscuro è il consumismo che porterà all’imborghesimento progressivo del mondo, le masse si convertiranno al consumismo. Secondo lui sparirà la negatività storica, e le lotte per il lavoro, se si avrà il prevalere del consumismo perché l’opposizione soggetto-oggetto sparirà con la soddisfazione del desiderio, paradossalmente il materialismo sarà realizzato non dal comunismo ma dal capitalismo. Kojeve pensa che il capitalismo realizzi la soddisfazione dei desideri, ma, qui il lato oscuro, questo significa la rianimalizzazione dell’uomo. Quindi la fine dell’emancipazione e l’americanizzazione del mondo.

Però, nota Kojeve, la fine della storia non è una catastrofe: meglio un americano ricco che un russo povero.

Bodei annota che Kojeve non sapeva che il capitalismo non si è fermato alla fase fordista ma è passato a quella toyotista. (consumatore che determina i prodotti richiesti. Da qui la necessità di un grande apparato di persuasione rappresentato dalla pubblicità)

Nel mondo del post guerra fredda, nel mondo occidentale chi accetta più di porre a rischio la propria vita per la propria libertà? Chi è in grado di contrastare accetta di morire come fanno molti terroristi piuttosto che vivere in maniera da non  provocare danni secondo le guerre tradizionali.

Il capitalismo non si è trasformato in donante, e la saggezza che Kojeve aveva ipotizzato con la fine della storia, cioè il fatto che la teoria e la prassi, la filosofia e la politica potessero finire… non sembra più verosimile. 

In conclusione, vedendo questa parabola del pensiero kojeviano, senza chiederci assolutamente ciò che è vivo e ciò che è morto nel suo pensiero, noi troviamo però nelle sue riflessioni qualcosa che dura. Come tutti i grandi classici rifioriscono… la sua riflessione sul concetto di autorità resta ancora centrale per qualsiasi riflessione filosofica. Ossia come e quando si potrà avere un tipo di filosofia e un tipo di politica che, superati i reciproci limiti, siano in grado di garantire una autorità di tipo razionale in cui non ci sia bisogno da un lato della forza e dall’altro del compromesso. Una sfida che Kojeve ha intravisto, che mette in gioco la natura stessa della filosofia perché si preconizza la scomparsa della filosofia in vista di qualcosa di superiore che è la saggezza, ossia la possibilità che ogni uomo con la fine della storia e la società pacificata avrebbe di essere contemporaneamente capace di pensare e di agire, di essere erede di una filosofia non impotente e di una politica non violenta.

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Parresia e dissimulazione

Dissimulazione: tra il cinquecento e il seicento di fronte a poteri che potevano distruggermi, la dissimulazione da parte dei sudditi nei confronti di chi comanda è diventato un fenomeno collettivo. Non solo la forza del leone, anche l’astuzia della volpe, machiavellicamente simulazione e dissimulazione.

Torquato Accetto (forse segretario del duca Orsini di Gravina) ha scritto della dissimulazione onesta, velare la verità. Volumetto fatto pubblicare da Croce nel 1928 come risposta alle imposizioni del fascismo.

Oggi in democrazia il parlar franco (paremia) non sarebbe altro che una forma di igiene mentale.

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Lacan. Kojeve non era in sintonia con questo linguaggio oscuro di Lacan.

Filoni racconta che nel 1935 Lacan chiede a Kojeve di scrivere insieme un saggio su Hegel e Freud. Tra le carte di Kojeve vii è uno schema del primo e del secondo capitolo; il primo assegnato a Kojeve dal titolo: la genesi della coscienza di sé, una ricognizione a partire da Descartes fino a Hegel.  Kojeve scrive questo primo saggio nel 1936 e lo consegna a Lacan nel 1937 annotando la data su una copia carbone. Quando Kojeve muore nel 1968, lo stesso giorno Lacan si reca dalla moglie  e prende la copia della fenomenologia annotata da Kojeve. Nel 1969 Lacan pubblica un seminario dove vi è una parte dedicata alla genesi della coscienza.

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Kojeve: tutto quello che di personale c’è nel mio pensiero è falso.

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L’idea di Kojeve è che si raggiungerà un punto in cui l’autorità condivisa, ma senza violenza, sarà quella di una razionalità comune in cui il discorso fluirà senza quelle contraddizioni, quelle opposizioni dialettiche che c’erano al principio. Quindi il filosofo non avrà più da lottare; scomparirà perché non avrà più un mondo contro cui lottare; il politico vecchio stile scomparirà perché non ci sarà più bisogno, con la saggezza, di compromessi tra verità diverse. Insomma è l’idea che aveva Engels che con la società comunista diventeremo tutti degli Aristotele, dei Tiziano. Una visione utopica. Ma lui probabilmente ha ragione perché si è messo in movimento un processo tale per cui quella lotta per il riconoscimento e per il lavoro, una volta che vengano soddisfatti i bisogni elementari toglierà agli uomini questa loro caratteristica di una libertà corrosiva e negativa. Saremo tutti pacificati, stupidamente beati.

Fukuyama ha preso questi aspetti di Kojeve mettendoci un carico ideologico ancora più grande: dopo la disgregazione dell’Unione sovietica, il liberismo economico e la democrazia politica hanno vinto tendenzialmente in tutto il mondo, e gli altri hanno da adeguarsi.

La fine della storia seguendo Kojeve consiste con il materialismo che viene portato a compimento non da quelli che si pretendono continuatori di Marx ma da quelli che sono gli esponenti di punta del capitalismo donante… È la morte dell’uomo che lotta, che si è appagato per quello che sono i suoi bisogni materiali.

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Alcune immagini sono tratte da una pagina dedicata al progetto di un film sulla vita di Kojeve: ALEXANDRE KOJÈVE EN CONNAISSANCE DE CAUSE

Kojeve praticò la fotografia e prese come modella la sua prima moglie Cecile Choutak.