Il buon Dio e gli atei

Appunti dal libro: Grandi Dei, di Ara Norenzayan, 2013, Raffaele Cortina Editore

Le credenze religiose e i rituali sono emersi come effetto collaterale evolutivo di funzioni cognitive ordinarie che hanno preceduto la religione. Queste funzioni cognitive hanno dato origine a intuizioni religiose – per esempio, il fatto che mente e corpo siano entità separate e che la prima possa esistere senza la seconda. Le intuizioni sostengono le credenze religiose ampiamente diffuse, come la fede negli dei, negli spiriti e nelle anime di vario tipo e con caratteristiche diverse, e le pratiche a esse correlate. A questo punto tutto era pronto per l’avvio di una rapida evoluzione culturale – cioè cambiamenti non genetici, socialmente trasmessi, nelle credenze e nei comportamenti – che alla fine condusse allo sviluppo di grandi società con Grandi Dei. (21)

Tutto è iniziato con un piccolo e casuale cambiamento del cervello che ha avuto come “effetto collaterale” l’evoluzione culturale e sociale di homo sapiens. 

Ara Norenzayan non si sofferma sul come pensiero e linguaggio si siano intrecciati nei millenni, e fa un salto in avanti nel tempo, sino a quando una rapida evoluzione sociale dell’uomo porta alla diffusione delle grandi religioni e allo sviluppo di strutture economiche più durature. La sua idea è che le religioni monoteiste, sorte attorno ai Grandi Dei, abbiamo influito sulla crescita dell’economia di scambio e dell’organizzazione sociale, favorendo uno sviluppo più stabile basato sul controllo divino e la paura della dannazione. I Grandi Dei garantiscono il rispetto di regole e comportamenti, e puniscono la trasgressione: secondo Norenzayan questa premessa avrebbe facilitato i contatti anche tra persone e gruppi sociali che ancora non si conoscono, e rinsaldato i legami tra fedeli di uno stesso dio quando necessario.

Nel recensire il libro, Vittorio Girotto accoglie favorevolmente l’analisi e i risultati esposti da Norenzayan, però propone di capovolgere (si potrebbe dire: marxianamente) i termini della questione: è la crescita economica e sociale che spinge alla formazione della sovrastruttura religiosa e ideologica. E vi sarebbero fondati  elementi storici e antropologici che porterebbero a pensarlo.

“La direzione della freccia causale però potrebbe andare in un senso opposto a quello sostenuto da Narenzayan e colleghi. Si potrebbe in effetti pensare che all’origine delle religioni morali vi sia lo sviluppo umano e non il contrario.” (ap. Girotto Il timor di Dio)   

 

La tesi dichiarata del libro di Norenzayan è un tentativo di integrare i due punti di vista, sociale e cognitivista, per arrivare a una terza ipotesi “che colloca le origini delle religioni prosociali in una potente combinazione di evoluzione sociale e genetica.” (23) 

[C’è riuscito? Bah! Di tutta la parte sperimentale e della metodologia di ricerca sul campo posso pensare che siano interessanti e sorprendenti nei risultati. Di certo vi sono correlazioni fra religione, struttura sociale e sviluppo economico. Tuttavia, nella ricostruzione storica e politica del legame fra grandi gruppi sociali e grandi religioni mancano molti elementi di confronto e altri sono suggestioni. E mi riferisco non solo alla conoscenza di eventi e vicende, ma soprattutto alla comprensione di fenomeni culturali di cui non abbiamo informazioni sufficienti per comporre un “quadro” psicologico individuale e collettivo che è mutato nel tempo, mentre le differenze genetiche hanno tempi molto ma molto più lunghi.] 

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Questi sono i principi che hanno caratterizzato l’emergere di Grandi Dei nella storia dell’uomo

1 – Chi è sorvegliato si comporta bene

2 – La religione è più nel contesto che nelle singole persone

3 – L’inferno è più potente del paradiso

4 – Fidati di chi si fida di Dio

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I credenti diffidano degli atei, ma non il contrario.” 

I credenti hanno una particolare propensione a diffidare degli atei. Norenzayan ipotizza che questo pregiudizio abbia radici psicologiche e che nasca da una reazione di sfiducia da parte dei credenti perché gli atei non si considerano sottoposti alle leggi e al giudizio di Dio. Gli studi mostrano che in caso di pregiudizio il grado di sfiducia verso gli atei è pari a quello verso i criminali.

Euristica della rappresentatività – giudicare le probabilità di eventi basandosi sulla percepita rappresentatività di una descrizione, invece che su una reale considerazione delle probabilità. (120)

Gli atei non hanno particolari pregiudizi nei confronti dei credenti e  non considerano la fede religiosa un motivo di sfiducia. Al contrario, alcuni pensano che “credere sia un buon affare” perché spinge a seguire una morale e uno scopo comune. 

Il buon Dio nella sua infinita misericordia sopporta i credenti ma predilige decisamente gli atei.” (Moni Ovadia)

Nei paesi laici la diffidenza verso gli atei è minore, ed è quasi inesistente in quelli scandinavi e dell’Europa settentrionale. Ma sarebbe sbagliato sperare in un declino delle religioni nel futuro prossimo viste le dimensioni mondiali che ha la fede nei Grandi Dei. Secondo Norenzayan quello che ci possiamo aspettare è una diminuzione della sfiducia negli atei se le istituzioni  laiche migliorano le loro funzioni regolatrici e di controllo. Dalla sorveglianza soprannaturale a quella laica. 

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Cooperare senza Dio. Ateismo. Istituzioni laiche.

Nella maggior parte del mondo dove la fiducia nelle istituzione è scarsa, prevalgono i legami di sangue, l’onore, la solidarietà etnica e, se si va un po’ più lontano, la “vigilanza soprannaturale dei Grandi Dei è l’unico fattore in gioco”. Nell’altra parte del mondo (WEIRD) le istituzioni e tradizioni laiche hanno dovuto farsi carico di alcune funzioni svolte dalla religione.

Qualunque cosa arrivi a sostituire il vuoto sociale lasciato dalla religione deve essere in grado di assumersi le funzioni sociali e di rivolgersi ai profondi bisogni psicologici che le religioni prosociali soddisfano. (245)

Anche nei paesi più laici, da quelli totalitari alle democrazie nord-europee, certi bisogni e comportamenti, che la religione prosociale aveva a lungo regolato, non sono cambiati, e si è solo sostituito Dio con un governo o magari con un dittatore.

Uno dei punti di forza della tesi basata sull’evoluzione culturale della religione – la spina dorsale di questo libro – è che dà spazio a un’idea significativa e di ampia portata: le religioni non soltanto assumono  forme differenti nelle culture e nei periodi storici diversi, ma i livelli di impegno religioso aumentano o diminuiscono in modo prevedibile a seconda delle condizioni sociali proprie di particolari culture e di particolari periodi di tempo. (246)

[Hai detto tutto, e hai detto niente.] Norenzayan riconosce che la questione è complessa, ancora da chiarire, però pensa che le società laiche abbiano usato la religione per raggiungere il successo e “poi hanno buttato via la scala.” Di più: alcune società laiche sono derivate dalle religioni prosociali. Conoscenze scientifiche e ragione non si sarebbero affermate in contrapposizione alla religione. Ma sarebbero gli stessi monoteismi ad aver posto le basi per un mondo laico aggrappato alla discutibile (secondo me) razionalità delle scienze

[Che volo. Pensavo si schiantasse, invece è come in un video-game: ogni volta ricomincia.]

Non possiamo comprendere la fede religiosa se la isoliamo dalle credenze culturali laiche. Emerge così anche una delle vie che portano alla secolarizzazione, quando le società sviluppano forti istituzioni di governo che incoraggiano la fiducia nella gente.(250)

Il dualismo mente-corpo è un aspetto fondamentale della cultura religiosa: si crede che vi sia “un io” separato dal corpo e dal cervello, l’anima immortale. L’ipotesi è che questo dualismo sia istintivo nell’uomo e che preceda la cultura religiosa: si tratterebbe di una capacità cognitiva del cervello umano di percepire le menti altrui e di inferire “l’esistenza di agenti invisibili dotati di stati mentali”, come spiriti e dei. Questa predisposizione verso la religione dipenderebbe, quindi, dal funzionamento del cervello, e dai suoi pregiudizi.

Alcune forme di pensiero religioso sembrano poter accedere per la via più facile ai nostri sistemi cognitivi. (Pascal Boyer)

In un certo senso siamo tutti teisti, e la mancanza di fede, l’ateismo, quando emerge, essendo privo di un sostegno intuitivo deve opporsi a queste intuizioni religiose e sostituirle con concetti nuovi, elaborati con un forte dispendio di energie. Ma Norenzayan pensa che questo sia una spiegazione incompleta, perché fede e mancanza di fede condividono uno stesso percorso che porta alla formazione dei grandi gruppi sociali.

Quattro vie che portano a non credere:

1 – L’ateismo dovuto a cecità mentale, prodotto dall’incapacità di comprendere la mente di Dio

2 – L’ateismo analitico, che emerge quando l’abituale ragionamento analitico incoraggia lo scetticismo religioso.

3 – L’apateismo, un sentimento di indifferenza verso la religione che si osserva in luoghi in cui la gente può vivere in ambienti sani e sicuri.

4 – L’ateismo incredulo, strettamente legato all’apateismo, che si osserva nei contesti culturali dove sono relativamente assenti ostentazioni di rituali religiosi. (253)

Di queste forme di ateismo individuate da Norenzayan mi interessano soprattutto la cecità mentale e l’ateismo analitico perché dipendono direttamente dall’individuo e non dal contesto.

Le ricerche degli scienziati cognitivi hanno rilevato una associazione fra autismo e mancanza di fede. L’incapacità di mentalizzare del soggetto autistico, ossia l’impossibilità di inferire gli stati mentali degli altri e di comprenderne le emozioni e le intenzioni, determina una difficoltà di concepire Dio e di attribuirgli intenzionalità e capacità soprannaturali. 

In generale è stato rilevato che i maschi hanno una minore capacità di mentalizzare rispetto alle femmine. Norenzayan è sempre cauto nel valutare queste correlazioni, ma si mostra certo di poter concludere che “la cecità mentale non permette di appassionarsi all’idea di un Dio personale.” (257)

[Mi viene da fare una considerazione razionale: se all’estremo dello specchio autistico c’è la cecità mentale (mancanza di una teoria della mente), all’altro estremo, quello del fanatismo religioso, e forse di ogni tipo di fanatismo, c’è la fede cieca, ossia la negazione del libero arbitrio e dell’individuo, che paradossalmente significa la negazione dell’anima.]

Boyer e il teismo implicito.

…Intuizioni in grado di spingere la nostra mente verso il pensiero religioso. Una è la tendenza abituale a mentalizzare; a sua volta la mentalizzazione incoraggia il dualismo mente-corpo, vale a dire che esista qualcosa di immateriale e distinto dal corpo fisico; c’è poi l’immortalità della psiche, di qualcosa che sopravvive alla morte del corpo; infine, troviamo il pensiero teleologico per cui siamo portati a pensare che le cose esistano per uno scopo e questo implichi l’esistenza di un creatore. Questo pacchetto cognitivo corrisponde a ciò che di solito intendiamo per teismo implicito. (257)

Queste intuizioni sono attivate da un sistema di pensiero che agisce in modo rapido e per lo più inconscio, e che non lascia spazio al dubbio. Ad esso contrapponiamo il pensiero analitico e razionale che attraverso la riflessione modifica le proprie convinzioni. Non si può dire quale dei due sistemi produca i migliori risultati; con il senno di poi, per entrambi vi sono meriti e demeriti relativi. Attribuiamo, di solito, il pensiero intuitivo alla religione e quello riflessivo all’ateismo. Norenzayen e altri psicologi hanno voluto verificare l’ipotesi, compiendo una serie di studi paralleli, e tutti sono giunti a  conclusioni convergenti:

la religione è il prodotto del pensiero intuitivo, mentre il pensiero analitico rappresenta una via che conduce al dubbio religioso. (259)

Il fatto di essere cresciuti in un ambiente di blanda religiosità apre sicuramente le porte dello scetticismo, così come gli studi scolastici, soprattutto scientifici, portano a una maggiore capacità di riflessione e al dubbio. I dati di laboratorio rilevati dicono che vi è una relazione fra i più alti valori d’intelligenza in generale e i più bassi livelli di fede religiosa. Ma non bisogna subito saltare alla conclusione che l’uso del pensiero analitico porti automaticamente all’ateismo perché “altri fattori alimentano le fiamme della fede religiosa”.

L’ateismo analitico è più presente in ambienti scientifici, e si diffonde più facilmente in società che garantiscono una migliore risposta alle necessità materiali e di salute, e che inducono una maggiore sicurezza esistenziale.  La religione, invece, prospera dove sono grandi le miserie umane, con la sua duplice faccia: “di essere contemporaneamente il piromane e il pompiere”.

Forse un mondo inquietante ma prevedibile è comunque più confortante di uno caotico e privo di senso. (268) 

Nei paesi in cui le istituzioni riescono a garantire una sicurezza esistenziale, troviamo altri due tipi di ateismo, secondo Norenzayan: l’apateismo, ossia una indifferenza verso la religione e i suoi temi, e l’ateismo incredulo di chi è stato allevato in famiglie con poco fervore religioso e poi è diventato miscredente.

[Se questi sono i percorsi principali dell’ateismo, vedo molto difficile la nascita di società cooperative senza Dio che Norenzayan prospetta lontanamente guardando ai paesi scandinavi e nulla più. Egli mette tutta la ragione degli atei nelle mani della scienza e della tecnologia, e delle istituzioni quando riescono a garantire uno sviluppo economico accettabile da  parte di ampi strati della popolazione.]

Nonostante tutto non mi è affatto chiaro se le società laiche alla fine vinceranno questa gara di longevità culturale. (273)

[Penso che le religioni prosociali siano decisamente avvantaggiate: hanno un’esperienza accumulata in millenni e una capacità di confrontarsi con i poteri forti, economici e politici, per esercitare un capillare controllo e gestire la disciplina della società. Nello stesso tempo le religioni sociali hanno anche il ruolo di “interpreti” dei bisogni fisici e spirituali della popolazione nei confronti delle istituzioni e di Dio!]

Nell’ultima pagina del saggio, per concludere in bellezza, Norenzayan si ricorda di un altro vantaggio delle religioni prosociali, è  la fertilità, l’incentivo alla crescita demografica che visibilmente contraddistingue tutte le religioni. Le società laiche, invece, hanno un minor numero di figli. Se si unisce la fertilità al fatto che gran parte della popolazione mondiale è religiosa, si può facilmente dedurre dai numeri che i Grandi Dei sono lontani dall’aver concluso la loro funzione.

Nelle ultime righe una “soddisfazione” per gli atei e i laici: sarà dura anche per le religioni.

Non ne sappiamo abbastanza per prevedere quale sarà il futuro della religione, ma possiamo essere certi del fatto che la tensione fra i vari movimenti religiosi in competizione, e tra la religione e i vari modi laici di vivere, continuerà a plasmare il mondo nel secolo a venire. (273)

Amen

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Dubbi e osservazioni sparse

[I Grandi Dei delle religioni monoteiste hanno contribuito alla crescita delle Grandi società moderne? O è la crescita economica e politica che ha eletto i Grandi Dei ad un ruolo di tutori del sistema? Prima l’uovo o la gallina? La gallina! 

Tesi intrigante quella di Norenzayan. Il saggio raccoglie molto materiale tratto da studi e ricerche di psicologia, condotte anche in prima persona, che tentano di spiegare il peso della religione nei rapporti sociali. Ne esce un quadro credibile di relazioni individuali e collettive che sono mediate dal legame con la religione. Tuttavia, bisogna valutarne anche i limiti perché gran parte degli studi e ricerche sono stati fatti in paesi con un maggiore sviluppo economico e una cultura istituzionale laica più diffusa.

La ricostruzione storica dell’evoluzione culturale della religione mi lascia invece molti dubbi. Certo, nel tempo strutture e riti delle religioni sono cambiati, ma la psicologia sociale non ha abbastanza strumenti e informazioni storiche e documentarie per comporre un quadro più completo. L’interazione con antropologia, genetica, scienze cognitive e altro è indispensabile, e richiede un po’ di tempo per dare risultati più definiti.

L’ipotesi su cui lavora Norezayan – i Grandi Dei favoriscono Grandi Società – si basa su un punto di vista che è tutto interno alla cultura occidentale e “pesca” nella storia umana alcune evidenze che sono del modo di pensare più comune. Resta tutto da dimostrare.

Vi sono abbastanza elementi, da Marx in poi, per pensare di ribaltare l’ipotesi: Grandi Società creano Grandi Dei. Religioni e ideologie nascono dalle condizioni materiali che influenzano la coscienza di ciascuno. È un’ipotesi anche questa.

La cultura religiosa è legata a particolari attività del cervello che dipendono da una struttura cerebrale già presente e probabilmente già usata per altre funzioni. 

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