Gentilezza e coraggio

Della gentilezza e del coraggio, Gianrico Carofiglio, Feltrinelli 2020

Illustrazione di Francesco Carofiglio

La tecnica (che non è solo tecnica, ha una dimensione concettuale, include un’idea del mondo) che dobbiamo imparare consiste nel trasformare il conflitto in energia positiva quando è possibile; evitarlo quando è impossibile; renderlo più breve e meno dannoso se è inevitabile e ingovernabile.

L’esperto di arti marziali quando si prepara a combattere non fa nulla. È attento, si muove per seguire i movimenti dell’altro, e da quei movimenti trae elementi per decidere come (re)agire se, e quando, sarà necessario. Potremmo dire che è attivamente immobile. Il concetto di attività ha a che fare con la natura della percezione, la sua vivezza, la sua diretta proiezione verso un agire pratico immediato e adeguato.

Trasferendo questa attitudine al terreno del dialogo (di ogni genere e dunque anche politico): bisognerebbe imparare ad ascoltare con mente aperta, non influenzata dai pregiudizi, dai preconcetti, dalle sovrastrutture.” (p.18)

ascolto come atto fondamentale della gentilezza politica” (p.20)

Ascoltare è un’azione molto impegnativa che richiede coraggio. Nelle discussioni private si può fare un test: riassumere quello che l’altro dice.

È un esercizio dall’apparenza ingannevolmente semplice, in realtà di straordinaria difficoltà. Per praticarlo è necessario fare silenzio nella propria mente, far cessare il brusio, interrompere il flusso delle etichette, il bisogno di prevalere. In altri e più brevi termini: occorre mettere da parte il proprio ego.” (p.21)

“Per la pratica intelligente e produttiva del conflitto è importante liberare la mente da presupposizioni e pregiudizi.” (p.23)

Primo ostacolo: incompetenza inconsapevole. Più si è incompetenti, più si è convinti di non esserlo.

tutti ci sopravvalutiamo, ma gli incompetenti si sopravvalutano di più perché sprovvisti di metacognizione, che è la capacità di osservare criticamente le proprie prestazioni. Uscire da se stessi e osservare dall’esterno quello che si fa, rendendosi conto dei difetti delle proprie prestazioni…L’assenza di metacognizione è tipica dell’ego mediocre e non controllato.” (p.24)

Secondo ostacolo: perdita della pazienza cognitiva: “è la diffusa tendenza (che corrisponde a un bisogno ansiolitico rispetto alla complessità che ci inquieta) a mettere etichette e ricorrere a schemi, a formulare precipitose semplificazioni.” (p.24)

Inoltre, la convinzione di disporre di una enorme quantità di dati genera l’illusione di poter sapere tutto senza studio, senza fatica. Da qui nasce anche il rifiuto o disprezzo per le competenze e i saperi.

Differenza fondamentale fra fretta e rapidità. (Il disegno di Picasso sul tovagliolo: mi ci è voluta tutta la vita).

Caratteristiche della competenza: a – si riferisce solo a campi specifici; b – percezione dei suoi limiti (l’esperto è capace di dire non lo so; Socrate: Io so di non sapere).

L’atteggiamento snobistico di taluni appartenenti agli schieramenti progressisti consiste nel non capire (nel rifiutarsi di capire) che il populismo affonda le sue radici e trova il suo consenso non semplicemente nell’ignoranza e nella rozzezza (che certo in alcuni casi ci sono), ma anche e soprattutto in un senso di profonda delusione per una promessa non mantenuta di uguaglianza.” (p.37)

Parliamo di popolo: complesso degli individui dello stesso paese.

La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1, co. 2). Significa che il voto popolare a suffragio universale è il principio di legittimazione delle istituzioni democratiche, nel quadro delle norme che lo regolano. Il popolo quale entità unitaria esiste solo come indicazione di una universalità che è la base legittimante della democrazia. Non esiste il popolo come entità omogenea e, soprattutto, non esiste una categoria come la “volontà popolare” che si possa considerare in modo unitario.” (p.38)

Il rispetto delle regole serve al controllo dell’aggressività. Se proprio i leader, lungi dal controllarla, ne fanno uno strumento sistematico di lotta politica, ciò libera le energie più tossiche e pericolose delle società. Il messaggio implicito e potente dei populisti è: non devi vergognarti dei tuoi sentimenti più oscuri. Sentiti libero di esprimerli, puoi esserne addirittura orgoglioso. Sentiti libero di dire qualsiasi cosa.” (p.40)

Fare buone domande.

La capacità di fare buone domande – bene precisarlo: agli altri come a se stessi – è una dote fondamentale del cittadino consapevole; è una delle caratteristiche che lo distinguono dal suddito inconsapevole. Tale capacità è una virtù morale e civile e migliora attraverso la pratica deliberata, da intendersi come un vero e proprio dovere di cittadinanza: interrogare costantemente il potere sulle ragioni e le modalità effettive del suo esercizio.

Il concepire e porre domande sbagliate è tipico del dibattito politico mediocre… Fra le domande sbagliate ed eticamente discutibili, le peggiori sono le pseudo-domande, quelle cioè che non mirano in alcun modo a ricercare una risposta e a far progredire il dibattito (in realtà ne sono la negazione), anche in una prospettiva di forte antagonismo dialettico. Esse sono essenzialmente atti di aggressione…” (p.53)

Fallacie

“Le fallacie sono errori nella costruzione di un discorso – deliberate o involontarie -, invalidano le argomentazioni. Sono spesso utilizzate di proposito con l’intento di ingannare l’interlocutore e il pubblico e sono assai frequenti nel dibattito politico e in un certo tipo deteriore di oratoria forense.” (p.55)

Argomento fantoccio: scorretta interpretazione della tesi che si vuole contrastare.

L’argomento può essere costruito in molti modi; i più frequenti consistono, come si è appena visto, nell’estremizzazione della tesi; nella citazione fuori contesto di singoli segmenti della tesi, slegati fra loro; nell’esasperata semplificazione dell’argomento iniziale fino a renderlo assurdo; nell’evocazione di una persona fittizia cui si attribuiscono idee o convinzioni facilmente criticabili, lasciando intendere che l’avversario, sostenitore della tesi, condivida le opinioni della persona fittizia.” (p.57)

Fallacia cum hoc ergo propter hoc o del post hoc ergo propter hoc.

Essa consiste nel sostenere che due cose accadute contemporaneamente (cum hoc) o in sequenza cronologica (post hoc) siano in relazione causale, quando questa relazione non è in alcun modo provata se non addirittura smentita da un’osservazione appena più attenta. (p.58)

Fallacia cosiddetta del terreno sdrucciolevole o del piano inclinatoconsiste nello spostare la discussione, spesso in modo subdolo, da una determinata tesi alle sue conseguenze estreme e soprattutto meramente ipotetiche. È molto usata nelle controversie su temi bioetici.” (P.59)

Fallacia argumentum ad hominem: “(argomento contro l’uomo), un’altra fra le fallacie più diffuse, contrasta le argomentazioni dell’avversario senza entrare nel merito e sferrando invece un attacco personale. (p.60)

“La fallacia del falso dilemma consiste nel sostenere che di fronte a un dato problema esistano solo due alternative, e nel costringere dunque a scegliere tra una di esse, quando in realtà le possibilità sarebbero di più.” (p.60)

“La fallacia dell’appello all’autorità consiste nel sostenere la fondatezza di un’affermazione riferendo l’opinione di un esperto (o presunto tale) senza fornire ulteriori argomenti, e in particolare senza indicare la base razionale su cui l’opinione poggerebbe.” (p.60)

La fallacia dell’appello alla natura o al cosiddetto “diritto naturale” (entità inesistente, pura creazione per giustificare punti di vista caratterizzati da intolleranza) è anch’essa molto praticata nelle controversie su temi etici.” (p.61)

“La fallacia dell’aneddotica consiste nel citare appunto un aneddoto o un caso isolato della propria esperienza personale (quando non, addirittura, una voce corrente e non verificata) per confutare – con un falso sillogismo – tesi che derivano da dati scientifici, statistici, di esperienza consolidata.” (p.62) (es. nonno e sigarette)

La cosiddetta fallacia del pistolero – una variante ancora più insidiosa del post hoc propter hoc – consiste nello scegliere una casuale concentrazione di un certo dato per sostenere arbitrariamente una tesi. Il nome viene dalla storiella del pistolero che sparava colpi a caso contro una staccionata, per poi disegnare un bersaglio attorno alla maggior concentrazione di fori di proiettile e sostenere così la sua reputazione di grande tiratore. Il funzionamento e il potere persuasivo di questa fallacia sono collegati alla cosiddetta clustering illusion, cioè l’attitudine cognitiva che ci induce a cercare e individuare modelli e princìpi di ordine anche quando essi non esistono.” (p.62) es. onde elettromagnetiche

Discussioni ragionevoli

L’alternativa al discorso manipolatorio, segnato dall’uso sistematico, più o meno consapevole, degli argomenti fallaci, è la discussione ragionevole, caratterizzata dal rispetto di regole che sono etiche ed epistemologiche al tempo stesso” (p.65).

Umorismo, virtù politica

la mancanza di senso dell’umorismo è un sintomo, ma anche una causa, di stupidità. Si accompagna a certezze tanto radicali quanto infondate e spesso grottesche, su se stessi, gli altri, il mondo.

Una frase attribuita a Bertrand Russell descrive con efficacia il tema del rapporto fra incompetenza e illusoria, pericolosa sicurezza: “Il problema di questo mondo è che le persone intelligenti sono piene di dubbi e i cretini sono pieni di certezze”.

Un modo per liberarsi della stupidità (che può essere anche una condizione contingente e al cui rischio, è bene precisarlo, siamo tutti soggetti), o perlomeno per attenuare la sua presa su di noi, il suo vischioso controllo delle nostre vite, è appunto la pratica dell’umorismo, principalmente rivolta verso noi stessi. Cioè la capacità di cogliere il ridicolo di cui tutti – a momenti o spesso – siamo portatori; la capacità di percepire i moti meccanici e grotteschi del corpo ma soprattutto dell’intelligenza, che ci trasformano in oggetti inanimati.” (p.77-78)

L’umorismo e l’autoironia sono doti epistemologiche – ci permettono una visione meno deformata del mondo e di noi stessi – ma anche virtù morali, come in generale è morale la capacità, nelle sue diverse forme, di uscire dalla gabbia dell’ego, di vedere noi e gli altri in prospettiva, con qualche dose di utile obiettività.

L’umorismo e l’autoironia sono doti epistemologiche – ci permettono una visione meno deformata del mondo e di noi stessi – ma anche virtù morali, come in generale è morale la capacità, nelle sue diverse forme, di uscire dalla gabbia dell’ego, di vedere noi e gli altri in prospettiva, con qualche dose di utile obiettività.

L’umorismo è un’arma contro il fanatismo. È energia vitale, intelligenza capace di trattare in maniera leggera materiale delicato. Esso funziona quando siamo capaci di gestire l’ambiguità, coltivare il dubbio, maneggiare senza disagio pensieri contraddittori. Scriveva Francis Scott Fitzgerald: “Il banco di prova di un’intelligenza superiore è la capacità di sostenere simultaneamente due idee contrapposte senza perder la capacità di funzionare”. (p.78)

Gli uomini e le donne di potere – quale che sia la porzione di potere di cui sono titolari – non sono mai davvero presenti. Non amano allontanarsi dal lavoro perché sul lavoro hanno emergenze…, urgenze e soprattutto un numero infinito di distrazioni cui possono abbandonarsi senza alcun senso di colpa perché – si raccontano – è tutta roba importante. In realtà si tratta di affari spesso urgenti, raramente importanti. E cogliere la differenza fra le due categorie – urgenza e importanza – è fondamentale nella riflessione su un modo diverso di occuparsi di politica, maneggiare il potere, pensare il presente nella prospettiva del futuro.

La motorrea di molti politici e, più in generale, di molti potenti esprime un carente contatto con la realtà e con gli altri a causa di un eccessivo contatto con se stessi.” (p.81)

La mancanza di senso dell’umorismo, si diceva, è uno dei sintomi del narcisismo. Chiariamo subito un punto: non vuol dire che chiunque sia privo di senso dell’umorismo è narcisista. Ma si può affermare senz’altro che qualunque narcisista è privo di senso dell’umorismo… È opportuno precisare che una certa quota di narcisismo è una componente naturale e necessaria di una personalità equilibrata. Il narcisismo sano, cioè una sobria autostima, garantisce alle persone un certo fisiologico grado di soddisfazione di sé, indipendentemente dalle rassicurazioni provenienti dal prossimo (talvolta ossessivamente ricercate). Il narcisismo diventa patologico quando implica, alla maniera di una tossicodipendenza, la ricerca di continue gratificazioni esterne, mancanza di empatia, svalutazione del prossimo come condizione del proprio senso di sicurezza, convinzione di aver diritto a un trattamento speciale rispetto agli altri.” (p.82)

L’entitlement è appunto la convinzione radicata e patologica di avere diritto a qualcosa per via di presunte doti speciali, per essere diversi e superiori rispetto agli altri. L’entitlement è connotato frequentissimo fra i professionisti della politica e di solito marcia in parallelo con il vittimismo. (es. Salvini) … Inutile dire che il vittimismo è una delle tante declinazioni del rifiuto ad assumersi le proprie responsabilità, dell’inclinazione a scaricare e proiettare su capri espiatori i propri fallimenti e le proprie inadeguatezze.

La colpa è sempre degli altri. La sola idea di riconoscere errori sembra insopportabile, e al vittimismo dei potenti corrisponde il vittimismo – unito al rancore – di chi rinuncia alle sue prerogative di cittadino e vive e agisce solo da suddito.” (p.82-83)

Narcisismo e autocelebrazione. Si coglie nell’uso sistematico del pronome io, degli avverbi di modo: sinceramente, onestamente, francamente e, soprattutto, assolutamente.

Tale abuso segna la pratica costante, talora ossessiva, del cosiddetto self- serving bias, cioè la tendenza ad attribuirci il merito dei successi e a scaricare su altre entità – il prossimo, la società, la sfortuna – la ragione dei nostri fallimenti.” (p.84)

La democrazia – l’idea stessa di democrazia – implica la revocabilità e la rettificabilità di ogni decisione, il rifiuto delle scelte definitive e delle verità assolute.

La diffidenza per le affermazioni inutilmente categoriche non significa elasticità sui valori fondamentali. Essa consiste piuttosto nella capacità di avere uno sguardo strategicamente sfumato sul reale; uno sguardo che non includa un giudizio preventivo, e dunque un’inevitabile, dannosa selezione degli elementi di conoscenza o una loro manipolazione per collocarli in schemi predeterminati.” (p.85)

Ridere e camminare: “Camminare (senza meta) e ridere sono atti senza scopo, aperti alla scoperta, carichi di possibilità. Implicano apertura, curiosità, attenzione, disponibilità per gli imprevisti e le deviazioni improvvise.”

Ridere è un atto privo di scopo specifico: non si ride avendo in mente un obiettivo; la risata individua una crepa nella normalità, nell’ordine delle cose e potenzialmente ci mette nella condizione di andare oltre, avventurarci metaforicamente in luoghi insoliti.

Per questo ridere può essere un atto pacificamente eversivo, e presenta inattese somiglianze con un’altra pratica pacificamente eversiva come il
camminare. Non il camminare per andare da qualche parte. Il camminare senza meta, senza scopo, alla maniera del flâneur di Baudelaire, di Benjamin. Camminare in luoghi insoliti, in periferie remote, in quartieri degradati, o in luoghi perfettamente conosciuti, lasciando che lo sguardo vaghi fino ad accorgersi di dettagli – o di cose fondamentali – di cui non ci si era mai resi conto prima.” (p.87)

Coraggio e paure

La Logica di Port-Royal (1662) è un testo filosofico, opera di due giansenisti francesi, Antoine Arnauld e Pierre Nicole. Studiano le regole della logica per giungere a enunciare le regole del pensiero.

Asimmetria fra paure e pericoli. In particolare si occupano della paura dei fulmini e della sproporzione fra tale paura e il pericolo oggettivo, modestissimo, di essere effettivamente colpiti da una saetta.

euristica della disponibilità quando si tende a stimare la probabilità di un evento in base all’impatto emotivo di una percezione o di un ricordo, piuttosto che sull’effettiva probabilità (spesso ignorata) dell’evento temuto. (p.90) esempi squali – zanzare, orsi – mucche o cani.

Sfruttare il sentimento primordiale della paura, rinfocolarlo, dirigerlo verso nemici e pericoli inesistenti trasformandolo in rancore prima e in odio poi, sono atti di grave immoralità politica. Addirittura peggiori, perché più devastanti, della corruzione nelle sue diverse declinazioni.” (p.91)

I populismi “creano nemici e costruiscono la loro offerta politica con il cemento dell’odio (p.92)

La paura non è però, necessariamente, un’entità dannosa, da evitare. Quando è ben orientata – quando si dirige verso i pericoli reali e non quelli immaginari o manipolati – può essere un potente strumento per affrontare il rischio e la complessità. Dunque per cambiare il mondo.

La paura correttamente intesa è un segnale, come altri sentimenti, per esempio la

La paura non è però, necessariamente, un’entità dannosa, da evitare. Quando è ben orientata – quando si dirige verso i pericoli reali e non quelli immaginari o manipolati – può essere un potente strumento per affrontare il rischio e la complessità. Dunque per cambiare il mondo.

La paura correttamente intesa è un segnale, come altri sentimenti, per esempio la vergogna. Essa è un fondamentale meccanismo di tutela della sicurezza individuale e collettiva e svolge una funzione analoga a quella del dolore fisiologico, un meccanismo che mira a garantire la salute fisica minacciata.” (p.92)

Secondo Jonas dobbiamo recuperare la paura dal nostro bagaglio biologico e imparare a usarla come uno strumento adattivo. Si tratta di un sentimento arcaico che, come i neuroscienziati insegnano, nasce nell’amigdala, la parte più antica del nostro cervello, ed è legato all’istinto di conservazione. L’euristica di Jonas allude alla possibilità di trasformare tale fenomeno primordiale in uno strumento di conoscenza e di risoluzione razionale dei problemi.” (p.93-4)

Ciò che rende inevitabile la violenza – sostiene Hobbes, grande filosofo della paura, delle sue conseguenze e dei possibili rimedi – non è l’aggressività, non è la forza di taluni; è la debolezza di molti.” (p.94)

La paura non è il contrario del coraggio, semmai ne è la premessa. “Non esiste coraggio se non come risultato di una reazione, di un’elaborazione della paura e della sua trasformazione in capacità di agire.” (p.95)

Coraggio: “È una dote del carattere ma anche dell’intelligenza, e consiste fra l’altro nell’accettazione dell’incertezza e della complessità. Sia chiaro: non l’accettazione dell’esistente.” (p.95)

Maestro zen e l’albero nella foresta che si schianta al suolo e nessuno lo sente. (p.97)

Ci aiutano a esercitare la dote della flessibilità e ad accogliere con allegria le ambiguità del vivere. Insomma, ad accettare che la realtà raramente offre interpretazioni univoche e verità inconfutabili. Un’idea che credo sia fondamentale nella vita come nella politica.

I kōan ci insegnano il valore delle verità plurali. Ma ci mostrano anche qualcos’altro: che le storie – e le buone metafore – sono uno strumento fondamentale per comprendere la realtà, per interpretarla in modi nuovi.” (p.97)

Quando ascoltiamo una buona storia, a volte ci sentiamo colti in flagrante, perché la storia sembra sapere di noi qualcosa che non abbiamo mai detto a nessuno; altre volte ci sentiamo rassicurati, perché sappiamo di non essere soli. Scoprendo noi stessi nelle storie, accettiamo come vero anche quanto non appartiene alla nostra esperienza diretta, ciò che provano e vivono personaggi che non hanno nulla in comune con noi.” (p.98)

Nel mondo delle storie, verità non significa necessariamente realismo o anche solo verosimiglianza. Non significa raccontare fatti davvero accaduti. Significa piuttosto concepire testi veritieri sulla condizione umana, perché compito della letteratura è dire la verità con lo strumento della finzione. Ha espresso l’idea con formidabile, paradossale efficacia Boris Vian, nella premessa al suo romanzo La schiuma dei giorni: “La storia è interamente vera, perché io me la sono inventata da capo a piedi”. (p.98)

Capacità negativa secondo Keats: «la Capacità Negativa e cioè quando un uomo è capace di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione […] perché incapace di rimanere appagato di una quasi-conoscenza». (p.99)

In estrema sintesi: la complessità del mondo in cui viviamo supera la nostra capacità di comprenderlo in toto. Accettare coraggiosamente questa verità è una delle premesse per un agire politico laico, tollerante ed efficace.” (p.100)

gli errori rendono amabili, diceva Goethe. La capacità di sbagliare con eleganza – e di ammetterlo quando è necessario o semplicemente è giusto – è una parte fondamentale del successo in politica come in qualsiasi altra attività.” (p.101)

passiamo tutti gran parte della nostra vita ad avere torto. Una fondamentale linea di demarcazione è fra quelli che ne sono consapevoli e quelli che non lo sono.” (p.101)

“l’odio svolge un ruolo spesso fondamentale nella definizione dell’identità – dunque dell’essenza – di un gruppo, di una società o di un’intera nazione. La percezione – o la creazione – di un nemico esterno serve a rafforzare la coesione di una società soprattutto in situazioni di crisi, di povertà materiale o culturale, di sottosviluppo sociale.” (p.104)

Tolleranza

Il principio alla base della tolleranza resta lo stesso: l’idea che gli esseri umani abbiano il diritto di vivere come credono e siano liberi di manifestare il proprio pensiero, e che questo sia il fondamento di una società democratica.” (p.107)

Scrive Popper: “Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”. Essere tolleranti presuppone la reciprocità. Il contratto implicito dei membri di una società tollerante è di accettare di non essere d’accordo. Quando un membro o un gruppo all’interno della società smette
di rispettare chi è diverso da lui, viene meno la reciprocità, il presupposto di fiducia su cui si basa la società tollerante, ovvero la società democratica. (p.108)

Quando viene meno la reciprocità “Tollerare l’intolleranza significa parteggiare con i più forti, con coloro che dispongono dei mezzi e degli spazi per farsi sentire, a discapito di chi quei mezzi non li ha.” (p.108)

Gentilezza insieme a coraggio (in realtà le due caratteristiche, correttamente intese, sono inscindibili) significa prendersi la responsabilità delle proprie azioni e del proprio essere nel mondo. In modo ancora più sintetico: accettare la responsabilità di essere umani.” (p.109)

La frase “sopravvivenza del più adatto” (survival of the fittest) non è mai stata scritta da Darwin. È invece una frase di Herbert Spencer, quasi un motto del darwinismo sociale che si serviva di Darwin per giustificare la sua visione di un mondo caratterizzato dalla competizione spietata e da enormi disuguaglianze fra ricchi e poveri.

Secondo Keltner sarebbe notevolmente più coerente con il pensiero di Darwin un’espressione come survival of the kindest (“sopravvivenza del più gentile”): Darwin era infatti persuaso (ne L’origine dell’uomo) che la collaborazione – e strutture sociali collaborative –, molto più che la competizione, avesse reso possibile il successo della razza umana.” (p.109-10)

Immaginare è fondamentale per l’empatia.

L’idea centrale, uno dei punti di arrivo della riflessione, è che la gentilezza sia uno strumento chiave per produrre senso nelle relazioni umane, e quindi anche nella politica.

In questa prospettiva si può affermare che la pratica della gentilezza sia uno dei possibili antidoti al dominio della tecnica, grave malattia della modernità.” (p.110)

“Ciò che bisogna contrastare – per limitare il potere di distruzione materiale ed etica oggi nelle mani dell’uomo – è l’esasperazione tecnica rappresentata dall’utopia del progresso illimitato; l’idea della neutralità e della totale irresponsabilità del sapere scientifico.” (p.111)

“Gli algoritmi decisionali non sono quasi mai neutri dal punto di vista dei valori. La loro stessa scrittura è condizionata dalle convinzioni, spesso implicite, spesso inconsapevoli, dei programmatori professionali. Se dimentichiamo questo aspetto, lasciamo scelte morali importanti – alcune fondamentali – nelle mani di persone che hanno un talento per i numeri e per i computer, ma nessuna preparazione e, soprattutto, nessuna legittimazione ad affrontare e risolvere in nome di tutti (perché tutti poi useranno gli algoritmi e le macchine da essi guidate) le questioni morali sottese a tali scelte.” (p.111)

Joseph Weizenbaum: differenza fra decisioni e scelte.

“Le decisioni si possono ricondurre ad attività computazionali, è possibile definirne le relative procedure in forma di algoritmi e possono essere assunte da macchine ben programmate.

Le scelte invece richiedono inevitabilmente l’intervento umano, perché implicano il riferimento a esperienza, memoria, emozioni, sistemi di valori, empatia, percezioni sottili, accettazione dell’incertezza, intuizione.” (p.112)

Viktor E. Frankl. Psichiatra. Dare senso scegliendo.

“Ci sono momenti in cui quello che accade sfugge al nostro controllo, in cui l’arbitrio altrui o il caso – ciò che non era prevedibile, e che comunque non è governabile – sembrano dominare le nostre vite, individuali e collettive. Ma anche in quei momenti possiamo decidere, e scegliere, come comportarci rispetto all’ottusa brutalità del destino e alla prepotenza di chi vorrebbe decidere per noi. Possiamo scegliere il significato da attribuire alla nostra esperienza, perfino nei suoi momenti più terribili e incontrollabili.” (p.113)

come ricorda Martha Nussbaum, “chi riesce a vincere la sorte è un’eccezione che non dimostra la colpevolezza morale di coloro che soccombono alla depressione e alla disperazione”. Bisogna sottrarsi al rischio – spesso latente, inconsapevole e dunque più insidioso – di leggere l’insuccesso, la povertà, la sconfitta come sintomi di fallimento morale.” (p.113)

Scelta può essere di volta in volta – o insieme – ribellione non violenta, ricerca della giustizia, pratica etica dell’umorismo, salvezza dalla paura e dalla vergogna. E ancora: capacità di disobbedire agli ordini ingiusti e inumani, capacità di sottrarsi al conformismo, capacità di non dare nulla per scontato, di praticare l’arte del dubbio, di sfuggire ai vincoli e alla prepotenza delle verità convenzionali, anche quando questo può costare molto caro.

La pratica della gentilezza è una scelta, e per esercitarla ci vuole coraggio.” (p.114)