Parole manomesse

Gianrico Carofiglio: La nuova manomissione delle parole, 2021

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quando manca la capacità di nominare le cose e le emozioni, manca un meccanismo fondamentale di controllo sulla realtà e su se stessi. (p.20)

Oltre la sciatteria, la banalizzazione, l’uso meccanico della lingua, esiste però un fenomeno più grave, inquietante e pericoloso: un processo patologico di vera e propria conversione del linguaggio all’ideologia dominante. Un processo che si realizza attraverso l’occupazione della lingua, la manipolazione e l’abusivo impossessamento di parole chiave del lessico politico e civile.

È un fenomeno riscontrabile nei media, nella produzione letteraria e, soprattutto, nella vita civile e politica, sempre più segnata da stilemi e contenuti che richiamano alla mente le pagine di Orwell. (p.24)

George Steiner ha osservato che le ideologie cosiddette competitive, come il nazismo – e io aggiungerei: il fascismo e altre, meno palesemente totalitarie, che oggi si stanno diffondendo anche in Europa –, non producono lingue creative, e solo di rado elaborano nuovi termini: molto più spesso “saccheggiano e decompongono la lingua della comunità”, manipolandola e usandola come un’arma. (p.34)

Klemperer osserva: “No, l’effetto maggiore non era provocato dai discorsi e neppure da articoli, volantini, manifesti e bandiere, da nulla che potesse essere percepito da un pensiero o da un sentimento consapevoli. Invece il nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettate meccanicamente e inconsciamente. […] Ma la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. E se la lingua colta è formata di elementi tossici o è stata resa portatrice di tali elementi? Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico”. (p.35)

L’usurpazione, il furto delle parole è un fenomeno lento, progressivo e ricorrente. (p.39)

Libertà e liberismo non sono sinonimi: mettere insieme i due concetti, confondendoli, significa inquinare le parole e la verità, e per conseguenza gli argomenti del dibattito politico e civile. (p.43)

L’amore – come l’odio – non consente l’argomentazione, il dubbio critico, la mediazione, “che sono figure essenziali della buona politica”: la mozione degli affetti, l’evocazione del sentimento prepolitico permette, tuttavia, di catturare incondizionatamente un consenso fondato sugli istinti, non sulla ragione. (p.44)

foto si gattini usate da Salvini (p.48)

Sarà bene riflettere sulle degenerazioni cui può condurre l’enfasi del “fare”, usato assolutamente e senza oggetto come piace a molti: un “fare” astratto e indeterminato che, proprio per fondarsi sul primato dell’azione e non del pensiero, rischia di essere, nel migliore dei casi, un contenitore vuoto. Ne consegue, fatalmente, il disprezzo retorico, e pericolosissimo, per le “parole”, che invece fondano l’azione e la iscrivono in un panorama di senso. Da Berlusconi a Renzi, e oltre. (p.50)

Logos significa parola, discorso, lingua, racconto. Si connette al verbo lego, che indica le azioni del raccontare, del parlare: ma anche, già in Omero, del mettere insieme, del raccogliere, del disporre le cose l’una accanto all’altra secondo un ordine razionale, dello scegliere con attenzione. Nella letteratura filosofica greca il significato di logos si allarga a indicare le parole che distinguono le cose tra loro, i rapporti esistenti fra le cose.

Ma è anche la frase costruita nel rispetto dell’ordine e della ratio grammaticale, una struttura coerente del pensiero in cui l’ordine delle parole rispecchia l’ordine delle cose. Secondo Aristotele, il logos è proprio dell’essere umano, perché solo l’essere umano parla e capisce. Il logos – la parola, il pensiero, la capacità di scegliere, l’abilità di raccontare – distingue l’uomo da tutte le altre creature viventi. (p.52)

Vergogna (p.55)

Giustizia (63)

Ribellione (p.75)

Bellezza (p.83)- Albert Camus: “La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei. La sua norma, che nell’atto stesso di contestare il reale gli conferisce unità, è anche quella della rivolta. […] Mantenendo la bellezza, prepariamo quel giorno di rinascita in cui la civiltà metterà al centro delle sue riflessioni, lungi dai princìpi formali o dai valori sviliti della storia, quella virtù viva che fonda la comune dignità del mondo e dell’uomo, e che dobbiamo ora definire di fronte a un mondo che la insulta”. 

Scelta (p.87)

Popolo (97) – Nel saggio intitolato Il fascismo eterno, Umberto Eco ha scritto: “Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale”.

Il popolo è base legittimante dello Stato democratico, nel quale risiede la sovranità. Passare da questa nozione al dire che il popolo è un’entità omogenea e che si può parlare di volontà popolare unitaria è operazione gravemente manipolatoria.

È l’enfasi su una (inesistente) volontà comune che permette ai populisti di semplificare, anzi di banalizzare. Se c’è una sola volontà del popolo, allora non ci sono più sfumature, non è più necessario affrontare la complessità. È una visione rassicurante e ansiolitica: c’è una sola risposta giusta ai problemi del nostro tempo, non occorre pensare, non occorre impegnarsi.

Le storie ci danno gli strumenti per immaginare come sia essere altro da noi: in questo modo, esse alimentano l’empatia, che è elemento e funzione necessaria dell’essere cittadini, dell’immaginarsi parte di una comunità di persone drasticamente diverse e insieme profondamente simili. (p.102)

Il popolo omogeneo, monocratico e immaginario del discorso populista è la clava di ogni autoritarismo, più o meno palese, più o meno mascherato. È una nozione incompatibile con l’idea di libero dibattito, di dubbio, di discussione, di pluralismo, che è la linfa vitale della democrazia. (p.103)

Giustizia contributiva – Michael Sandel: “Da Aristotele alla tradizione repubblicana americana, da Hegel all’insegnamento sociale cattolico, le teorie della giustizia contributiva ci insegnano che siamo compiutamente umani quando contribuiamo al bene comune e ci guadagniamo la stima dei nostri concittadini per i contributi che offriamo. Secondo questa tradizione, il desiderio umano fondamentale è quello di essere necessari a coloro con i quali condividiamo una vita in comune.” (p.104)

Immaginare un linguaggio significa, sempre, immaginare una forma di vita. Scrivere è, sempre, un’esplorazione allo stesso tempo di sé e del mondo, un viaggio di scoperta, una ricerca di senso, il gesto politico e rivoluzionario di chiamare le cose con il loro nome. Scrivere è essere qui.(p.108)