Il nemico di Darwin

Telmo Pievani: Perché il nemico di Darwin è principalmente la mente umana?

Si scopre che il nostro cervello ha dentro di sé una struttura e funziona in un modo che denota la presenza di quelli che noi chiamiamo “precursori naturali”: sono delle tendenze cognitive molto profonde che ci fanno preferire per esempio certi tipi di spiegazione anziché altri. Per esempio, il nostro cervello, fin da piccoli, è estremamente competente neli’ osservare il mondo esterno e distinguere entità animate e entità non animate. Noi siamo dei dualisti intuitivi. Siamo stati abituati dall’evoluzione, a imparare rapidamente, a giudicare se qualcosa che ci circonda è vivo o non è vivo. Perché se vivo potrebbe essere potenzialmente una minaccia, rispetto a qualcosa che è inanimato. Noi però abbiamo una iper-attribuzione di animalità o animismo, nel senso che tendiamo ad attribuire intenzioni e la presenza di un agente anche a entità che non lo sono.(31:50)

(Vallortigara: iper attribuzione di intenzionalità come risultato di adattamento ai pericoli. Esempio giochi dei bambini in cui oggetti diventano portatori di intenzioni 33:25. Esempio bastoncino spezzato 36:06).

Iper attribuzione di intenzionalità. Vincoli cognitivi profondi nati per motivi che non hanno nulla a che fare con la religione, poi sono stati cooptati per produrre sistemi di credenze dei tipi più diversi, anche non religiosi, semplicemente superstiziosi. (37:20)

La mente umana ha una forte tensione teleologica, siamo bravissimi a vedere il mondo in chiave intenzionale.(37:40)

Ipotesi di Norenzayan (Ara Norenzayan: I grandi Dei, 2014). (40:c):

vincoli cognitivi profondi vengono exattati, cooptati per produrre sistemi di credenze, non necessariamente religiosi. Poi interviene l’evoluzione umana, che è sociale ed è per piccoli gruppi. Ad un certo punto questi sistemi di credenze diventano un collante che spinge il gruppo sociale a essere molto più cooperativo e competitivo con altri gruppi. (teoria della selezione culturale di gruppo)(41:40)

Ingroup e outgroup, noi abbiamo una mente che divide istintivamente chi è dentro al mio gruppo e chi è fuori dal mio gruppo. Questo ci fa capire che c’è una radice evolutiva profonda del settarismo, del tifo da stadio, del totalitarismo, del fondamentalismo: sono tutte modalità di pensiero in cui tu decidi di sottometterti a una comunità totalizzante che dà un senso totale alla tua vita, che dà un fondamento letterale a tutta la tua vita… Nelle credenze religiose c’è una radicale ambivalenza perché una credenza religiosa può produrre un Dalai Lama, che vede un “noi” universale… ma la stessa credenza religiosa ti porta al fondamentalismo se tu riduci quel “noi” al tuo gruppo totalizzante contro un altro gruppo. C’è una radice neurale, biologica, del fondamentalismo.(48:17)

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Evoluzione umana ci consegna una eredità biologica contraddittoria, ambivalente… noi non siamo né buoni né cattivi per natura, siamo tutte e due le cose, e allora, filosoficamente, vuol dire che poi il decidere  di comportarsi in un modo o in un altro,  non lo devi chiedere alla natura, alla biologia, ma lo devi chiedere all’evoluzione culturale, alla tua esperienza di vita, alla società in cui nasci e cresci, che ti fa fare certe scelte e ha certi condizionamenti e non altri. Si conferma quello che David Hume aveva proposto: che la natura non è una autorità morale e che è inutile continuare a cercare nella natura le cose giuste e le cose sbagliate, che cosa è norma e cosa è devianza; e che non ha completamente senso dire che un comportamento è giusto perché è naturale, o che è ingiusto perché innaturale… Nel DNA ci trovi tutto e il contrario di tutto.(53:30)

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Biologia e cultura: altra conseguenza importante, non sono due dimensioni in contraddizione ma fortemente intrecciate, che co-evolvono continuamente…

Ultimo punto, se noi siamo nati per credere, e siamo nati da questa dinamica sociale ambivalente, allora vuol dire che l’essere naturalmente in un modo o nell’altro smette di essere una necessità… Non sto dicendo che siccome ce l’abbiamo nella nostra biologia allora siamo determinati in quel tipo di comportamento.

Non sto dicendo che sviluppare sistemi di credenze fondamentaliste è inevitabile e necessario, La nostra realtà biologica è ambivalente, ti dà la possibilità di comportarti in un modo o nel suo contrario… Questo significa che se noi cambiamo l’educazione precoce dei mostri ragazzi possiamo sperare di avere degli effetti importanti. (55:17)

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Conquiste umane piuttosto recenti come il pensiero scientifico, la libertà di ricerca scientifica, la democrazia, non quella rituale, la democrazia sostanziale e materiale, sono conquiste controintuitive, che necessitano di una vigilanza costante, sono una fatica di Sisifo, devi continuare a lavorarle per mantenerle. Non sono conquiste irreversibili. Appena abbassi la soglia di vigilanza tornano i populismi, le destre peggiori, torna l’istinto del noi contro l’altro. (1:00)

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Un’educazione scientifica precoce lavora controcorrente…Il precursore naturale è un vincolo che rende più persuasive, più facili certe spiegazioni piuttosto che altre, ma se lavori poi bene in senso contro-intuitivo ce la fai benissimo perché il nostro cervello ha ampi margini di plasticità. La manipolazione fa il contrario, approfitta di questo vincolo cognitivo e ci fa cadere dentro. Pensate all’uso della paura, la costruzione del nemico… è una tecnica di successo che ti fa vincere le elezioni…

Altro esempio, dinamiche in rete, come si sviluppano le comunità in rete. Oggi gli studiosi parlano di echo chambers, camere di eco, perché in rete non vai a cercare un’informazione sulla base della fonte autorevole che hai davanti, ma vai a cercare l’informazione che conferma il tuo vincolo cognitivo, il tuo bias cognitivo… Non cerchi il confronto con l’altro ma la conferma…(1:04:21)

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La scienza non va mai insegnata per i prodotti che produce, come un catalogo di risultati,  ma va sempre insegnata come un processo e con un metodo di acquisizione razionale, scettico, che fa si che i risultati siano sempre provvisori, progressivamente corroborati ma tendenzialmente provvisori.(1:35:30)

Esercizio del razionalismo critico che  produce conoscenza. Sarebbe una contraddizione insegnare la scienza in chiave divulgativa o anche troppo paternalistica. (1:36:00)

Le attitudini cooperative che abbiamo noi non erano di attacco ma di difesa, e questo cambia un po’ le cose perché in campo etologico gli adattamenti difensivi hanno caratteristiche diverse che sono quelle che si riscontrano oggi nei modelli sociali e umani. (1:39:00)

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Epigenetica: meccanismi di tipo chimico che permettono modulazioni e regolazioni dei geni senza cambiamenti di sequenza del DNA.

Noi siamo una specie che modifica costantemente l’ambiente attorno a sé, naturale e sociale. E questo significa che chi viene con la generazione successiva è nativo di un ambiente che noi stessi abbiamo modificato. Se noi sommiamo questo fatto che noi siamo costruttori di nicchie, che continuiamo a costruire e cambiare la nostra nicchia ecologica e lo associamo al fatto che abbiamo un cervello che si sviluppa per due terzi dopo la nascita, che ha una plasticità di sviluppo fenomenale, non c’è bisogno di epigenetica nel senso che è chiaro che stereotipi dominanti da un punto di vista sociale plasmano e condizionano il nostro ambiente per molto tempo, possono letteralmente modificare il nostro cervello e il nostro modo di pensare.

Il nostro cervello può essere biologicamente condizionato a seconda dell’ambiente in cui nasce. E questo è un’altro di quegli esempi che ti fanno vedere che è inutile continuare a pensare che la biologia e la cultura siano due mondi incommensurabili… il cambiamento culturale cambia la nostra biologia. 

La diversità che conta non è la diversità per categorie o per essenze, ma quella individuale, come insegna Darwin, è il soggetto singolo che è il portatore della differenza. E poi, lui o lei, ha delle stratificazioni che diventano differenze di genere. (1:39:00)

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Il bene e il male della religione codificati nel nostro cervello di Telmo Pievani, 2-2-2017
L’estremismo che provoca il terrorismo può essere sconfitto facendo appello al nucleo universale della fede, ma non si cancella
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Ara Norenzayan negli anni Ottanta del secolo scorso era un ragazzo come tanti di Beirut. La sua famiglia apparteneva alla Chiesa ortodossa armena e rimase neutrale. Tutto attorno quindici anni di inferno, di autobombe che uccidono i suoi amici più cari, di schegge di mortaio che piombano in tinello, di crepitii di mitraglia, di vendette e ritorsioni senza fine. Nella sua Beirut avere una religione significava appartenere a una fazione: tutti gli altri erano potenziali nemici o alleati, da un giorno all’altro. Quel ragazzo non capisce che cosa sta succedendo. Chiede conto ai suoi parenti, ai conoscenti, ma ottiene solo risposte evasive. Comincia a farsi domande scientifiche. Esiste una proprietà nascosta nella religione che improvvisamente rende persone pacifiche degli assassini? Che trasforma padri di famiglia in sterminatori con le migliori intenzioni? E poi, è davvero tutta colpa soltanto delle religioni o non anche di chi le strumentalizza? 
Da Beirut a Vancouver
Adesso quel ragazzo di Beirut è psicologo sociale presso la University of British Columbia a Vancouver, in Canada, ed è uno dei massimi esperti al mondo di evoluzione cognitiva e sociale del pensiero e del comportamento religiosi, con pubblicazioni e dibattiti sulle maggiori riviste scientifiche internazionali. La sua ricerca parte da un assunto: la religione, come molte espressioni della natura umana, è radicalmente ambigua e produce tanto un Osama bin Laden quanto un Dalai Lama. Per capire il fenomeno è inutile ricorrere alle proprie opinioni, condizionate anch’esse da credenze o assenze di credenze. Servono fatti sperimentali e Norenzayan da anni progetta originali esperimenti di psicologia sociale che lo hanno portano a una tesi scientifica interessante e robusta. 
La sua idea centrale è che vi sia stata una coevoluzione culturale fra le religioni che un tempo favorivano la socialità attraverso la devozione verso Grandi Dei onniscienti, da una parte, e la cooperazione su larga scala in grandi gruppi di estranei, dall’altra. Una forte pressione selettiva, di tipo sociale e culturale, ha consolidato meccanismi che promuovevano la solidarietà fra credenti, la crescita demografica e l’espansione del gruppo attraverso il proselitismo. Come possono stare insieme gruppi numerosi composti da un elevato numero di estranei che devono coordinarsi? Attraverso Grandi Dei che tutto vedono, che incutono timore e sorvegliano il rispetto delle norme sociali e morali. È questo il meccanismo che nei millenni ha spinto estranei anonimi a fidarsi l’uno dell’altro, a stringere patti, a commerciare a distanza. Religiosità e codici morali, la cui origine non coincideva, hanno finito così per cementarsi.
Cervello e anima
Questo è il lato sociale della faccenda, poi c’è quello cognitivo, che rende le credenze religiose impermeabili agli sviluppi delle conoscenze scientifiche. Le funzioni sociali della religione si intrecciano infatti con i vincoli cognitivi profondi che predispongono la mente umana alle credenze religiose: la teoria della mente, il dualismo intuitivo mente/corpo, l’idea della sopravvivenza dell’anima, la nostra fortissima tendenza a favorire spiegazioni teleologiche, il vedere intenzioni e agenti ovunque. Sono le stesse predisposizioni cognitive che rendono controintuitiva la spiegazione evoluzionistica darwiniana (storica, contingente, probabilistica) e invece intuitivamente persuasiva una spiegazione dei fenomeni naturali basata su progettisti intelligenti. Così, le iniziali «intuizioni religiose» – all’inizio indipendenti da pressioni selettive di tipo sociale e più legate al particolare modo di interpretare la realtà esterna, in base ad agenti e intenzioni, che caratterizza Homo sapiens – sono state poi cooptate in nicchie ecologiche diverse al crescere dei gruppi sociali umani. Nel passaggio da piccole società umane di cacciatori e raccoglitori, senza bisogno di grandi dèi supervisori, a grandi gruppi con Grandi Dei promotori di religioni pro sociali, si è innescata una sopravvivenza differenziale delle religioni, con il predominio di quelle dotate di divinità onniscienti, onnipotenti e interventiste (in primis i grandi monoteismi). 
In sintesi, i precursori naturali inscritti nella nostra mente (vincoli cognitivi e intuizioni religiose) si sono poi evoluti attraverso cambiamenti culturali, non genetici ma socialmente trasmessi nei sistemi di credenze e nei comportamenti correlati. I «mutanti culturali» delle religioni sono entrati in competizione fra loro e hanno prevalso quelli con gli effetti popolazionali più forti. La religione quindi non sarebbe un «tratto» singolo dell’umanità, ma un mosaico di caratteristiche associate, un pacchetto di tratti in evoluzione nel tempo, un complesso di attitudini e di comportamenti con un’estrema variabilità: alcuni inducono al conflitto settario, altri favoriscono la pace e la fratellanza. Un legame paradossale unisce infatti la solidarietà all’interno del gruppo (il piccolo «noi» che ci protegge, la cerchia, la setta) e la competizione fra gruppi: sono due facce della stessa medaglia. Nella sua ambivalenza, la religione ha trasformato sia la cooperazione sia il conflitto, e può promuoverli entrambi in base ai contesti e alle circostanze.
Il bivio
Ovviamente un comportamento che si è rivelato adattativo in passato (cooperare intensamente fra persone estranee e anonime) non è detto che lo sia ancora oggi o che debba essere positivo di per sé. Anche i teppisti delle gang, i mafiosi e i terroristi islamici sanno cooperare molto bene, a modo loro. Il legame con filtri cognitivi profondamente radicati nell’evoluzione umana (facili generatori di ideologie) e la dimensione sociale totalizzante (il piccolo «noi» che diventa orizzonte totale di senso, inizio e fine del proprio mondo, contro tutti gli altri «noi» attorno) spiegano perché il fondamentalismo è uno dei molteplici tratti psicologici costitutivi del fenomeno religioso. Non è l’unico e può essere messo a tacere (allargando per esempio la sfera del «noi» ai diritti universali di ogni essere umano), ma in quanto costitutivo può sempre riemergere.