Uguaglianza

Una breve storia dell’Uguaglianza di Thomas Piketty, La nave di Teseo 2021.

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Questo libro propone una storia comparativa delle disuguaglianze tra classi sociali nelle società umane. O meglio una storia dell’uguaglianza, perché nel corso della storia si verifica un processo di lungo termine finalizzato a una maggiore uguaglianza sociale, economica e politica. Non si tratta certo di una storia pacifica, e ancor meno lineare. Le rivolte e le rivoluzioni, le lotte sociali e le crisi di qualsiasi natura svolgono un ruolo decisivo nella storia dell’uguaglianza, che è anche scandita da fasi involutive e da derive identitarie. Resta il fatto che esiste, almeno dalla fine del XVIII secolo, un processo storico orientato verso l’uguaglianza. (2)

Affermare l’esistenza di una propensione verso l’uguaglianza non costituisce affatto un motivo di soddisfazione. Si tratta, al contrario, di un invito a continuare la lotta su un fondamento storico solido. Riflettendo sul modo in cui il processo verso l’uguaglianza si è effettivamente prodotto, è possibile trarre lezioni preziose per il futuro, comprendere meglio sia le lotte e le mobilitazioni che lo hanno reso possibile, sia i dispositivi istituzionali e i sistemi giuridici, sociali, fiscali, scolastici, elettorali che hanno consentito all’uguaglianza di diventare una realtà duratura. Purtroppo, però, il processo di apprendimento collettivo delle istituzioni giuste perde la sua forza, spesso a causa dell’amnesia storica, del nazionalismo intellettuale e dell’impermeabilità dei saperi. Per proseguire la marcia verso l’uguaglianza è dunque urgente tornare a studiare la storia e oltrepassare i confini nazionali e disciplinari. (12)

Secondo Pomeranz, lo sviluppo del capitalismo industriale occidentale è intimamente legato ai sistemi di divisione internazionale del lavoro, di sfruttamento sfrenato delle risorse naturali e di egemonia militare e coloniale attuato dalle potenze europee contro il resto del pianeta. (13)

Questa breve storia dell’uguaglianza non si sarebbe potuta scrivere senza i progressi compiuti riguardo alla storia della ripartizione delle ricchezze tra classi sociali. (13)

la disuguaglianza è prima di tutto una costruzione sociale, storica e politica. In altre parole, per un pari livello di sviluppo economico o tecnologico, esistono sempre diversi modi di organizzare un regime della proprietà o dei confini, un sistema sociale e politico, un sistema fiscale e scolastico. Sono scelte di natura politica. Dipendono dalla situazione dei rapporti di forza tra i diversi gruppi sociali e tra le diverse visioni del mondo in opera, e promuovono livelli e strutture diseguali estremamente variabili, a seconda delle società e dei periodi. Nella storia, tutte le creazioni di ricchezza sono il frutto di un processo collettivo: dipendono, dalla nascita dell’umanità in poi, dalla divisione internazionale del lavoro, dall‘impiego delle risorse naturali del pianeta e dall’accumulo di conoscenze. Le società umane inventano di continuo regole e istituzioni per strutturarsi e ripartire le ricchezze e i poteri, ma si tratta sempre di scelte politiche e reversibili. (17)
è la rivolta degli schiavi a Santo Domingo nel 1791 a determinare l’inizio della fine del sistema schiavista atlantico, e non già le dispute ovattate scambiate nei salotti parigini. (17)
Al di là delle rivoluzioni, delle guerre e delle rivolte, fanno spesso da momenti-cerniera le crisi economiche e finanziarie, in cui si cristallizzano i conflitti sociali e si ridefiniscono i rapporti di forza. (18)
la marcia verso l’uguaglianza abbia beneficiato, dalla fine del XVIII secolo, dello sviluppo di un certo numero di dispositivi istituzionali specifici, da studiare in quanto tali: l’uguaglianza giuridica; il suffragio universale e la democrazia parlamentare; l’istruzione gratuita e obbligatoria; l’assicurazione sanitaria universale; l’imposta progressiva sul reddito, sull’eredità e sulla proprietà; la cogestione e il diritto sindacale; la libertà di stampa; il diritto internazionale; e via di seguito. (19)

l’idea secondo cui esisterebbe un consenso spontaneo a proposito delle istituzioni giuste ed emancipatrici, e che basterebbe sfruttarlo per spezzare la resistenza delle élite, è un’illusione pericolosa. (21)

La posizione di classe, per quanto sia rilevante, non basta a elaborare una teoria della società giusta, una teoria della proprietà, una teoria della redistribuzione dei beni, una teoria dell’imposta, dell’istruzione, del salario, della democrazia. (21)

i rapporti di forza non devono essere né trascurati né sacralizzati. Le lotte rivestono certo un’importanza fondamentale nella storia dell’uguaglianza, ma bisogna anche prendere seriamente in considerazione il problema delle istituzioni giuste e della concertazione egualitaria al loro riguardo. (22)

La proprietà è una nozione storicamente definita: dipende sia dal modo in cui ciascuna società definisce le forme di possesso legittime (terreni, case, fabbriche, macchine, mari, montagne, monumenti, titoli finanziari, conoscenze, schiavi ecc.) sia dalle procedure legali e pratiche che strutturano e regolano i rapporti di proprietà e i rapporti di potere tra i gruppi sociali interessati. (38)

A Parigi, dove alla fine del XIX secolo e durante la belle époque si accumulano enormi patrimoni finanziari e industriali, la quota dell’1% più ricco supera addirittura, alla vigilia della prima guerra mondiale, il 65%. Dopodiché si osserva, nel corso del XX secolo, una forte deconcentrazione dei patrimoni: nell’intera Francia, la quota dell’1% più ricco passa dal 55% nel 1914 a meno del 20% all’inizio degli anni ottanta, per poi iniziare un lenta risalita; nel 2020 si avvicina al 25%. (39)

la quota dell’1% più ricco nel totale delle proprietà private è attualmente due volte inferiore rispetto a un secolo fa, ma resta in ogni caso cinque volte più elevata rispetto alla quota detenuta dal 50% più povero, che oggi possiede appena poco più del 5% del totale (fermo restando che il 50% è per definizione cinquanta volte superiore all’1%). (40)

Per fissare le idee, si può parlare di “classi popolari” quando si parla del 50% più povero, di “classi medie” quando si parla del 40% successivo e di “classi superiori” quando si parla del 10% più ricco. Al cui interno si possono distinguere due classi molto eterogenee: le “classi agiate” (il 9% meno ricco) e le “classi dominanti” (l’1% più ricco). (45)

Tra l’inizio del XX e l’inizio del XXI secolo la riduzione delle disuguaglianze avviene esclusivamente a beneficio di quella che possiamo chiamare la “classe media patrimoniale”, vale a dire di quel 40% compreso tra il 50% più povero e il 10% più ricco . (47)

disuguaglianza dei redditi è sempre meno forte della disuguaglianza della proprietà. (50)

Tutte le ricerche di cui disponiamo lo dimostrano: la crescita del capitalismo industriale occidentale è intimamente legata ai sistemi di divisione internazionale del lavoro, di sfruttamento incontrollato delle risorse naturali e di egemonia militare e coloniale che si sviluppano gradualmente tra le potenze europee e il resto del pianeta a partire dai secoli XV e XVI, con una forte accelerazione nel corso dei secoli XVIII e XIX. (55)

Per quanto riguarda la deforestazione, Pomeranz insiste sul fatto che alla fine del XVIII secolo l’Europa si sia trovata molto vicina a un “punto di non ritorno ecologico”. Nel corso dei secoli precedenti, nel Regno Unito così come in Francia, in Danimarca, in Prussia, in Italia e in Spagna, le foreste erano state sfruttate a ritmo sostenuto: se intorno al 1500 occupavano il 30-40% della superficie del continente, nel 1800 ne ricoprivano poco più del 10% (il 16% in Francia, il 4% in Danimarca).

Adam Smith nel 1776, nel suo La ricchezza delle nazioni. In quest’opera, il fondatore del liberalismo economico consigliava ai governi l’adozione di imposte basse e di bilanci equilibrati (con livelli di debito pubblico ridotti o nulli), il rispetto assoluto del diritto di proprietà e lo sviluppo di mercati del lavoro e delle merci il più possibile integrati e competitivi. Sotto tutti questi punti di vista, risulta però che le istituzioni in vigore in Cina nel XVIII secolo fossero molto più smithiane di quelle del Regno Unito. In particolare i mercati cinesi erano molto più unificati. Il mercato dei cereali operava su di un’area geografica più vasta, e la mobilità del lavoro era molto più intensa. Le diverse condizioni europee derivavano anche dal lascito delle istituzioni feudali, almeno fino alla Rivoluzione francese. (58)
Cina e impero ottomano avevano tasse molto basse, mentre gli stati Europei per sostenere continue guerre sviluppano un sistema fiscale più invasivo

Eppure è proprio questa capacità fiscale, finanziaria e militare a rivelarsi decisiva per l’affermazione dell’Europa (59)

La tratta schiavista viene ufficialmente abolita nel 1810, ma in realtà prosegue clandestinamente per alcuni decenni (specie in direzione del Brasile) e, soprattutto, i proprietari di piantagioni si rendono conto che la riproduzione naturale degli schiavi è, in altro modo, più rapida ed efficace. (61)

Produzione di tessuti.  francia e Regno unito applicano misure protezionistiche contro l’India fino a quando nell’ottocento  le macchine a vapore permettono una produzione industriale che fa concorrenza all’India.

Per quanto riguarda l’ascesa dell’Europa, nei secoli XVIII e XIX, al rango di maggiore potenza in campo, la sola vera specificità è l’uso smodato e spregiudicato della forza militare su scala mondiale, in assenza di un serio contrappeso interno o esterno. (64)

Al momento, sembra più plausibile la tesi sviluppata da Pomeranz e Parthasarathi, secondo cui le strutture socioeconomiche in vigore nelle regioni più progredite d’Europa, di Cina, Giappone e India, non erano, fino alla metà del XVIII secolo, tanto diverse tra loro, e inizieranno a diversificarsi veramente solo nel contesto delle egemonie coloniali e militari.(67)
Tutti i fattori religiosi, ideologici e antropologici fin qui considerati hanno avuto sicuramente una grande importanza nella storia dell’Europa e delle altre parti del mondo, e sarebbe illusorio e puerile pretendere di individuare in questo complesso di elementi la causa ultima della traiettoria storica che alla fine si è compiuta. Per il momento, mi pare più utile prendere atto che lo sviluppo del capitalismo occidentale e mondiale ha avuto i suoi fondamenti nella divisione internazionale del lavoro e nello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali e umane del pianeta; e che nella storia del mondo hanno avuto un peso fondamentale i rapporti di forza tra potenze statali. (69)

Il problema delle riparazioni:

La fine della schiavitù e del colonialismo, tappa importante della lunga marcia verso l’uguaglianza, oggetto di studio di questo libro, mette in gioco conflitti e lotte, liberazioni e ingiustizie: è il caso dei risarcimenti finanziari versati ai proprietari di schiavi (e non agli schiavi), episodio poco noto e tuttavia essenziale, che riporta ancora oggi in primo piano il problema delle riparazioni. (73)

se la Francia nel 1825 accettò di riconoscere l’indipendenza del paese e di porre fine alle minacce di invadere l’isola con le sue truppe, fu solo perché Carlo X era riuscito a ottenere che il governo di Haiti si impegnasse a pagare un debito di 150 milioni di franchi-oro, per indennizzare i proprietari di schiavi della perdita delle loro proprietà (77)

la legge sull’abolizione adottata dal Parlamento britannico nel 1833 prevede un risarcimento integrale dei proprietari. (80)

Il principio di un risarcimento del genere rappresentava una priorità evidente e indiscutibile per la maggior parte delle élite “liberali” del tempo, à la Tocqueville. Il quale nel corso dei dibattiti tenutisi negli anni quaranta del XIX secolo si mise in luce con proposte che considerava ingegnose (una quota a carico del Tesoro, un’altra a carico degli stessi schiavi disposti a lavorare a basso costo per dieci o vent’anni in modo da rimborsare la differenza) e che in realtà erano particolarmente generose per i proprietari. (81)

Oltre all’indennizzo dei proprietari i decreti di abolizione del 27 aprile 1848 comprendevano una serie di articoli che prevedevano l’istituzione, nelle colonie, di laboratori di disciplina “per la repressione del vagabondaggio e della mendicità”, miranti soprattutto a garantire ai proprietari delle piantagioni manodopera a buon mercato. (81)

I proprietari accettavano progressivamente di ridurre il ricorso alle punizioni corporali – una pratica corrente con gli schiavi – a condizione che, per raggiungere gli stessi obiettivi, le autorità li aiutassero a imporre sanzioni pecuniarie. (87)

la Terza Repubblica non ebbe nessuna difficoltà a sanzionare Haiti per decenni e a prolungare fino al 1950 il tributo imposto dallo Stato monarchico nel 1825  (91)

Per riparare i guasti del razzismo e del colonialismo, occorre anche e soprattutto cambiare il sistema economico su base sistemica, riducendo le disuguaglianze e assicurando a tutte e tutti un accesso il più egualitario possibile all’istruzione, all’occupazione e alla proprietà, indipendentemente dalle origini di ciascuno. Il che implica anche la necessità di condurre politiche ambiziose, coerenti e verificabili, di lotta alle discriminazioni, rispettando in ogni caso le identità, che sono sempre plurali e multidimensionali. Vedremo in quale misura sia possibile, sulla base delle esperienze disponibili, trovare un equilibrio tra criteri collettivi e criteri legati alle origini di ciascuno. E, per ragioni analoghe, deve essere assolutamente superata la dicotomia tra misure di redistribuzione su scala nazionale e su scala internazionale. In particolare, ciascun paese, ciascun cittadino del pianeta, dovrebbe avere diritto a una parte delle quote prelevate sui conti delle multinazionali e dei miliardari del pianeta. In primo luogo perché ogni essere umano dovrebbe godere di un minimo e pari diritto alla salute, all’istruzione, alla crescita; in secondo luogo perché la prosperità dei paesi ricchi non esisterebbe senza i paesi poveri. L’arricchimento dell’Occidente, come del resto l’arricchimento giapponese o cinese, si fonda da sempre sulla divisione internazionale del lavoro e sullo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali e umane del pianeta. (94)

se la nobiltà nel XIX secolo rappresenta appena l’1% della popolazione di Parigi, negli anni 1830-1840 raggruppa pur sempre il 40-45% delle persone più facoltose, poco meno che alla vigilia della Rivoluzione. Si dovranno attendere gli anni 1880-1910 per vedere la riduzione in via definitiva del peso della nobiltà tra i detentori dei maggiori patrimoni (99)

Il Black Act del 1723 indebolisce ancor di più i già fragili, istituendo la pena capitale per i ladruncoli di legname e i cacciatori di selvaggina, povera gente che aveva preso l’abitudine di avventurarsi di notte, con il volto annerito per non essere riconosciuta, all’interno di proprietà private che i possidenti, a quel punto, intendevano conservare a loro uso esclusivo (103)

Sistema elettivo in Svezia diventa universale a partire dal 1921. (105) La discriminante esatta che determinava il peso elettorale (fyrkar) di ciascun elettore era fissata da una formula che dipendeva dall’entità delle tasse versate, delle proprietà e dei redditi. Un analogo sistema veniva applicato per le elezioni comunali, con un’ulteriore peculiarità: avevano diritto di voto anche le società per azioni, con un numero di voti che dipendeva dall’ammontare delle imposte e dall’entità dei loro beni e profitti. (106)
Il socialismo partecipativo e la condivisione del potere  Cogestione. (114)

6. La “grande redistribuzione”, 1914-1980  (122)

Il primo fattore è la forte crescita dello Stato sociale: un’evoluzione di lungo termine che è dovuta in larga misura, dopo la fine del XIX secolo, all’importanza assunta dalle lotte sociali e all’accresciuta mobilitazione del movimento socialista e sindacale. In ogni caso il fenomeno ha registrato una forte accelerazione con le due guerre mondiali e la crisi del 1929, eventi che, nell’arco di trentuno anni (1914-1945) hanno completamente rovesciato i rapporti di forza tra lavoro e capitale. Il secondo fattore è lo sviluppo dell’imposta fortemente progressiva sul reddito e sull’eredità, (122)

molti studi hanno mostrato come sia stato il progresso dello Stato sociale a promuovere il processo di crescita economica. Le nuove entrate hanno infatti contribuito a finanziare spese che si sono rivelate indispensabili non soltanto per ridurre le disuguaglianze ma anche per incentivare lo sviluppo con, in particolare, un investimento massiccio e relativamente egualitario nell’istruzione e nella salute (123)

In Francia, il Fronte popolare decreta nel 1936 le ferie retribuite, e la forte presenza dei comunisti e dei socialisti in Parlamento e al governo contribuisce a far approvare la previdenza sociale nel 1945. (127)

tutti coloro che guardano al concreto ora sanno che i sistemi della Sanità pubblica all’europea sono insieme meno costosi e più efficienti in termini di salute e di aspettativa di vita di quelli approntati dalle compagnie private statunitensi.139 Nel settore dell’istruzione, nessuno o quasi propone di sostituire le scuole, i licei o le università con società per azioni governate dalla logica capitalista. (128)

Alcuni anni dopo, in un contesto politico completamente trasformato dalla guerra e dalle catastrofi, dai milioni di morti e di mutilati, in un momento in cui i salari operai non avevano ancora recuperato il potere d’acquisto del 1914, e in cui, nel maggio-giugno 1919 e poi nella primavera del 1920, diverse ondate di scioperi minacciavano la paralisi del paese, si ha quasi l’impressione che il colore politico conti molto poco. Era indispensabile trovare risorse e nessuno poteva pensare che i più ricchi andassero risparmiati. Al che, la minaccia socialista e comunista assume una valenza indiscutibile per le élite: meglio accettare un’imposta pesantemente progressiva che correre il rischio di arrivare un giorno a un’espropriazione generalizzata (131)

Negli Stati Uniti, l’imposta federale sul reddito entra in vigore nel 1913. L’evento non ha alcuna relazione con il primo conflitto mondiale: rappresenta il compimento di un lungo processo di revisione costituzionale iniziato nel 1895, il quale reca la testimonianza della forza della mobilitazione popolare e della domanda di giustizia fiscale ed economica manifestatasi allora nel paese. Occorre inoltre insistere sul ruolo cruciale svolto dalla crisi del 1929 negli Stati Uniti, evento, oltreoceano, ben più decisivo e traumatico del primo conflitto mondiale o della Rivoluzione russa. La crisi rivela a tutti la necessità di riprendere il controllo del capitalismo e induce Roosevelt a innalzare la progressività fiscale a livelli inediti negli anni 1930-1940. (132)

all’inizio del XX secolo, la ripartizione dei redditi e soprattutto delle proprietà era estremamente concentrata: l’1% più ricco deteneva da solo, in Francia, più della metà del totale dei patrimoni; nel Regno Unito quasi i due terzi. (132)

In concreto, i tassi dell’80-90% applicati sotto Roosevelt e nel dopoguerra hanno indotto le imprese a porre fine alla prassi degli stipendi astronomici, il cui costo appariva sempre più smisurato in rapporto al guadagno reale per il dirigente e alle operazioni di altro tipo. (135)

Storicamente, è stata la lotta per l’uguaglianza e l’istruzione, e non la sacralizzazione della proprietà, della stabilità e della disuguaglianza, a favorire lo sviluppo economico e il progresso umano. (136)