L’albero ingarbugliato

Intervista a David Quammen, scrittore, fatta da T. Pievani. (La Lettura, settembre 2019)
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D – Lei ne parla nel suo «The Tangled Tree», che uscirà in italiano il prossimo anno. Darwin però non aveva torto: la nascita di una nuova specie è quasi sempre un processo di ramificazione.
R – «Carl Woese applicò un nuovo metodo: sequenziare i genomi di creature diverse e poi compararli per determinare il loro grado di parentela. Così fece una prima grande scoperta: gli Archaea, un terzo dominio della vita. A quel tempo si conoscevano solo due regni: i batteri e gli eucarioti (che includono funghi, piante, animali, tutte creature composte da cellule complesse, noi compresi). Gli Archaea sono microbi, un tempo fraintesi come batteri perché’ al microscopio sono ” Indistinguibili”. Woese notò che gli Archaea in realtà sono più strettamente imparentati con noi eucarioti che con i batteri. Fu una grossa sorpresa. Ma ce n’era un’altra: Woese scoprì che spesso nella storia della vita i geni si erano mossi lateralmente attraversando i confini” tra le specie. Si chiama «trasferimento genico orizzontale». Secondo il modello darwiniano ortodosso i geni si spostano solo verticalmente: da progenitori a discendenti. Ma i geni possono trasferirsi anche lateralmente, da un batterio a un rettile, da un virus a un primate. Quindi alcuni rami dell’albero della vita possono sia divergere gli uni dagli altri sia convergere. Il modello darwiniano dell’albero della vita è ancora utile, sì,  ma non è sufficiente per spiegare la biodiversità. Certamente nel corso dell’evoluzione le specie possono anche ibridarsi, fondersi,  Ma c’è soltanto la ramificazione.
D – Ma se non è un albero, che cos’è? Una rete?
R – «Non credo che la rete sia la metafora giusta, perché la forma ad albero è ancora valida e spiega gran parte delle storie evolutive. Ci sono grandi rami separati, che poi divergono in rametti minori in modo irreversibile con il passare del tempo. Quindi non è una rete. Tuttavia, può succedere che un ramo si innesti dentro un altro, o che tra due rami ci siano collegamenti orizzontali. Se dovessi scegliere una semplice immagine, direi che la storia della vita è un albero ingarbugliato».
 
D – Pure il nostro genoma è pieno di sequenze virali, retaggi d’antiche infezioni. Nel thriller scientifico «Spillover» del 2012 lei descrisse salti di specie fatti dai virus. C’è da preoccuparsi?
R – «Senza dubbio il rischio aumenta a causa della distruzione degli ecosistemi originari, come in Amazzonia e nelle foreste del Congo. Cosi favoriamo la liberazione di nuovi virus dai loro serbatoi naturali stabili, portandoli a diventare infettivi per gli umani. Come successe circa cento anni fa, nel Camerun sudorientale: un singolo scimpanzé che trasportava un virus tipico della sua specie, fu ucciso da un cacciatore che ebbe un contatto di liquidi sanguigni con l’animale, presumibilmente attraverso un taglio. Il virus’ dello scimpanzé si impadronì dell’essere umano, fu trasmesso ad altre persone, si adattò e divenne  l’hiv, una pandemia. 
 
D – Quelle che dobbiamo temere sono le zoonosi, cioè i passaggi delle infezioni animali agli umani.
R – Esatto.
D – Anche le fake news in rete si diffondono come virus.
R – La Rete ha reso più facile per le persone fare ciò che hanno sempre preferito: formare la loro comprensione della realtà in base a ciò in cui vogliono credere, piuttosto che su quello che i dati empirici suggeriscono. Le persone tendono ad essere pigre, credulone e, soprattutto, attratte da storie sentimentali, rassicuranti o melodrammatiche.
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