Homo pluralis

 

C’era una volta un’umanità in cui convivevano fianco a fianco piccole bande itineranti e grandi (per l’epoca) raggruppamenti stanziali, simili a città; in cui convivevano culture che non lasciarono praticamente tracce materiali del loro passaggio e culture che eressero, ricorrendo a un’ampia manodopera, monumenti megalitici imperituri. C’era una volta un’umanità che eleggeva dei capi, ma che sapeva anche prenderne le distanze e disobbedire ai loro ordini. C’era una volta un’umanità che si procurava le risorse alimentari per lo più nel territorio circostante, ma che aveva elaborato codici di condotta e regole di ospitalità che le permettevano di viaggiare in sicurezza anche a migliaia di km di distanza. Un’umanità che aveva dato vita sia a società decisamente patriarcali sia a società in cui le donne detenevano poteri e saperi fondamentali.

La preistoria, almeno nelle ultime decine di migliaia di anni, è stata abitata da un homo pluralis, un essere che ha praticato una molteplicità di scelte e questa è una lezione importantissima per il presente, perché ci obbliga a chiederci come sia possibile che ci siamo cacciati in una situazione in cui le disuguaglianze e i rapporti di potere paiono congelati, in cui lo spazio della vita politica è ridotto ai minimi termini.

L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità” (Rizzoli) ha richiesto dieci anni di ricerche ed è il frutto di un lavoro condiviso tra David Graeber, l’antropologo americano prematuramente scomparso a Venezia nel 2020, e David Wengrow, archeologo specialista di Africa e Medio Oriente. Il libro si apre con una serie di considerazioni attorno a una domanda secondo gli autori mal posta: qual è l’origine della diseguaglianza?

Il libro si occupa soprattutto di quelle società che un tempo chiamavamo di cacciatori e raccoglitori, espressione che fa discutere perché tutta al maschile e perché evoca una situazione di spontaneità, un’epoca in cui gli esseri umani si sarebbero limitati ad allungare la mano per cogliere frutti già dati. Sappiamo invece che l’azione verso l’ambiente fu tutt’altro che passiva e per questo gli antropologi hanno proposto la definizione di società acquisitive. La traduttrice italiana del libro, Roberta Zuppet, introduce un’innovazione, proponendo di tradurre l’inglese foragers con foraggiatori, ovvero popoli che si procurano da vivere nell’ambiente circostante.

i ritrovamenti di corredi funebri ricchi di oggetti provenienti da lunghissime distanze nei monumenti megalitici dell’Europa dell’est, delle Americhe e nei complessi urbanistici e funerari del Medio Oriente, ci parlano della diffusa esistenza di catene dell’ospitalità.

Homo pluralis, dunque. Questo libro distrugge molte nostre certezze. L’agricoltura e la domesticazione degli animali non produssero automaticamente diseguaglianze e schiavitù. Le società di grandi dimensioni non sono necessariamente più autoritarie e violente di quelle piccole. A chiuderci progressivamente nelle prigioni del progresso non sono state le tecnologie o le costrizioni ambientali in sé, bensì strategie politiche come quelle che consentono di trasformare la ricchezza economica in potere politico (e viceversa), che tanto colpirono i primi osservatori indigeni delle nostre società.