Reecensione di Bruno Saetta del libro: “Invisible Rulers: The People Who Turn Lies into Reality” di Renée DiResta.
“ La disinformazione ormai è uno strumento di guerra ibrida, che condiziona l’opinione pubblica e il processo democratico. È in grado di plasmare l’opinione pubblica creando “realtà su misura”.”
” La realtà è filtrata dagli algoritmi, sui social media ognuno di noi è esposto a contenuti altrui in base a ciò con cui interagiamo. I feed personalizzati, necessari per regolare in qualche modo la quantità enorme di contenuti che fluiscono in rete, finiscono così per diventare ecosistemi informativi chiusi che rafforzano le convinzioni preesistenti e raramente mettono in discussione il nostro punto di vista. Questo meccanismo crea una realtà parallela dove la verità non è più condivisa, ma diventa frammentata.“
” Il punto essenziale, però, sta nel ruolo dei “governanti invisibili”, coloro che agendo dietro le quinte modellano il dibattito pubblico senza assumersi apertamente la responsabilità del potere che esercitano. Influencer, gruppi Telegram, network di micro-blogging o canali YouTube, si presentano come contro-informazione, e diventano fonte primaria per milioni di persone.”
” La disinformazione non nasce coi social, anzi la televisione tradizionale è una forma di controllo narrativo molto più centralizzata, uno strumento verticale dove pochi parlano e molti ascoltano. Il TG che scegli ti dà una sola versione dei fatti, senza confronto né contraddittorio reale.”
” la moltiplicazione delle voci non significa apertura mentale, e l’esposizione al dissenso non garantisce affatto un cambiamento di opinione, come anni di ricerche hanno ormai confermato. Anzi, l’incontro con opinioni contrarie può rafforzare le convinzioni preesistenti, un fenomeno ben documentato in psicologia sociale (backfire effect).”
” L’attenzione è una risorsa contesa, gli algoritmi privilegiano ciò che genera coinvolgimento, non ciò che è utile o vero. Infine, l’esposizione al dissenso porta al tribalismo: chi contesta diventa automaticamente l’altro, il nemico.”
” l’informazione è performativa: se riesci a farla sembrare reale allora diventa reale. “
” Con l’avvento dei social non è cambiato il contenuto della disinformazione, ma il suo ecosistema. Adesso le verità performative sono molteplici e si pongono in concorrenza tra loro. La possibilità di crearle si è democratizzata, molte più persone possono creare una realtà personalizzata.”
” Performativo è ciò che crea una realtà, non la descrive: “Vi dichiaro marito e moglie” non descrive ma crea l’unione, non rappresenta ma agisce, trasforma la realtà.”
” L’identità performativa (Butler, Austin) non è un’essenza interiore, ma qualcosa che costruiamo nel fare, nel dire e nel mostrare. Butler spiega in questo modo il “genere”: non si è uomo o donna, ma lo si diventa reiterando atti, gesti, posture socialmente riconosciute come tali. L’identità, quindi, non è altro che l’effetto di una serie di atti visibili e ripetuti. Nell’ambito social l’identità è ciò che posti, ciò che condividi, ciò contro di cui ti indigni.”
” In questo senso la maggior parte della gente non crede a una notizia falsa perché la ritiene vera, ma piuttosto perché permette di rafforzare il senso di chi è. In questo senso la pubblicazione della fake news è il carburante emotivo per l’identità performativa…. la disinformazione non inganna, ma fortifica l’identità.“
” La differenza tra TV e social media, è che la TV costruiva una realtà da accettare passivamente, mentre i social propongono un “mercato delle verità” tra cui scegliere e da difendere.”
” Gli autocrati prosperano dividendo il mondo in buoni e cattivi, in noi e loro, … non si appellano alla ragione, ma sfruttano le emozioni, la paura, l’indignazione, il risentimento, spingono le persone a prendere decisioni impulsive, evitando qualsiasi tipo di riflessione.”
” La nostra era viene definita era della “post-verità”, ma in realtà non si tratta di una crisi della verità quanto piuttosto di una crisi dell’io. La frammentazione dell’identità determina una spaccatura della società, le persone sembrano vivere in mondi del tutto separati. Non è uno scontro di fatti od opinioni, quanto una rottura delle comunicazioni interpersonali e della coesione sociale.”
“ I social media hanno reinventato la natura della socialità, e hanno avuto un ruolo di coesione globale creando opportunità di connessione tra persone che altrimenti non si sarebbero mai incontrate. Hanno dato spazio e discussioni interculturali, permettendo di scoprire che i nostri problemi non sono unici e che esistono soluzioni che altri hanno già sperimentato. Questa dimensione inclusiva e globale ha offerto alle persone un senso di solidarietà, riducendo l’isolamento di categorie discriminate o di persone fragili. Ma progressivamente la regolamentazione dei social (come del resto accadde per le TV) non è stata in grado di mantenere i vantaggi della tecnologia, favorendo la chiusura delle piattaforme, la creazione di monopoli e quindi la trasformazione in strumenti di potere concentrato nelle mani di pochi grandi attori. L’idea era, forse, di mantenere un controllo sul discorso pubblico. Ma il monopolio ha portato alla centralizzazione della distribuzione delle informazioni che ha reso le piattaforme vulnerabili a interferenze politiche e autoritarie. Quando le piattaforme sono costrette a piegarsi alle richieste di governi autoritari, questo ha un impatto devastante sulla libertà di espressione e sulla democrazia digitale.”
” il ruolo degli algoritmi crea un monopolio occulto che può fungere da filtro editoriale senza innescare una responsabilità trasparente.”
” se il proprietario del social entra direttamente nella gestione dei contenuti, diffonde disinformazione o addirittura ostacola utenti che non condividono le sue opinioni. “