L’America dimenticata

L’America dimenticata, di Lucio Russo (Mondadori 2013)

(sottolineature nel testo, per uso personale)

Dalla Prefazione

– La prima parte del libro illustra brevemente la storia del dibattito teorico su questi problemi e mostra come gli sviluppi recenti dell’archeologia, rendendo sempre più chiara la fitta rete di relazioni che ha collegato sin da tempi antichissimi molti dei popoli del Vecchio Mondo, non permettano più di considerare indipendenti i loro sviluppi culturali.

– Nella seconda parte il problema è affrontato con uno strumento nuovo, tratto dalla storia della geografia matematica. Claudio Tolomeo, nel II secolo d.C., assegnò alla Terra dimensioni decisamente minori di quelle che erano state determinate (con notevole accuratezza, come vedremo) da Eratostene quattro secoli prima. Ricostruendo l’origine di questo strano e drastico rimpicciolimento del mondo si sono ottenuti risultati inaspettati.

-In primo luogo l’errore sulle dimensioni della Terra si è rivelato conseguenza di un restringersi degli orizzonti geografici che è un aspetto di un generale collasso culturale, per lo più ignorato, avvenuto a metà del II secolo a.C. Si tratta in realtà di uno spartiacque nella storia del mondo mediterraneo, essenziale sia per capire aspetti fondamentali dei nostri rapporti con la cosiddetta «cultura classica» sia come caso esemplare di una categoria di eventi che nella storia di lungo periodo possono considerarsi frequenti.

– In secondo luogo, usando precisi argomenti quantitativi, si è scoperto che all’origine dell’errore di Tolomeo vi era il fraintendimento di dati geografici, risalenti a Ipparco, che riguardavano località americane di cui in epoca imperiale non si conosceva più l’esistenza e che erano stati interpretati come relativi a luoghi del Vecchio Mondo. Si ottiene in questo modo una dimostrazione degli antichi contatti tra i continenti che rimette in discussione il possibile grado di interdipendenza delle diverse civiltà e, sottraendo il principale fondamento alla teoria delle evoluzioni storiche parallele determinate da rigide leggi universali, apre la possibilità di restituire anche alla storia umana quelle caratteristiche di impredicibilità e casualità che sono oggi assodate per l’evoluzione biologica.

Parte prima: tante storie parallele o una storia unitaria?

1 – Tra diffusionismo e determinismo biologico

– Torneremo più volte sulla parziale analogia tra sviluppi culturali ed evoluzione biologica, non perché debbano necessariamente seguire le stesse leggi, ma soprattutto perché gli studi dei due fenomeni hanno subito i medesimi condizionamenti ideologici, cosicché le teorie elaborate nei due casi hanno finito spesso per assomigliarsi ben più di quanto si assomiglino i fenomeni studiati.

– Oggi l’idea di un progresso lineare, del quale noi stessi rappresenteremmo il culmine, non ha più alcun credito tra i biologi: il modello attualmente accettato dell’evoluzione degli ominidi è «a cespuglio», con diverse specie discendenti da un ceppo comune e a lungo coesistenti che hanno esplorato direzioni alternative di sviluppo. La circostanza che una di queste specie sia infine riuscita a prevalere su tutte le altre, eliminandole e dando origine alla cultura umana, è considerata uno dei tanti eventi irripetibili e impredicibili della storia della vita e non un fine predeterminato.

– L’idea che in altri mondi potrebbero essere avvenute evoluzioni in direzioni per noi del tutto inimmaginabili sembra appunto una possibilità raramente immaginata.

– La presunta ineluttabile evoluzione progressiva è in realtà ampiamente smentita dai ripetuti collassi che hanno portato alla disgregazione di civiltà e in particolare dai collassi culturali, sui quali torneremo. Ma se si ha fede nell’inevitabilità del progresso è difficile riconoscerli e si tende a minimizzarne comunque la portata, ritenendoli solo momentanee battute d’arresto.

1.2 – Breve storia di un dibattito

– Esiste un solo altro modo di spiegare queste coincidenze: attribuirle ai contatti tra le civiltà.

-teorie diffusioniste classiche

-«diffusionismo colonialista»

-Alfred Kroeber

-Spesso il contatto con culture diverse è essenziale nello stimolare creazioni in larga misura originali. (esempio della porcellana europea)

-Nei paesi anglofoni l’abbandono del diffusionismo è stato guidato dal prevalere della processual archaeology (nata con il nome di new archaeology) e del neoevoluzionismo, che negli anni Sessanta e Settanta si sono imposti nei settori della protostoria e dell’archeologia. 

– New Archeology e teoria della complessità (per esempio: formazione dello Stato)

-In generale gli eventi storici e i dati archeologici erano considerati poco rilevanti rispetto ai modelli astratti suggeriti dalla teoria dei sistemi e dall’analisi antropologica di popoli contemporanei. Poiché infatti la teoria si basava sul presupposto – accettato implicitamente come un necessario ingrediente del nuovo «metodo scientifico» – che tutte le società umane seguissero le stesse leggi evolutive, si pensava di poter studiare «in vivo» le fasi iniziali dell’evoluzione sociale in popolazioni attuali considerate «primitive».

– Teorie antidiffusioniste come quelle tipiche della processual archaeology basata sul neoevoluzionismo richiedono, anche se il più delle volte inconsapevolmente, l’accettazione di una forma di «determinismo biologico», secondo il quale il nostro corredo genetico guiderebbe lo sviluppo storico, portando inevitabilmente gli uomini a reinventare in ogni caso, nella stessa successione, archi e frecce, altari e sacrifici umani, aratri, giochi da tavola, libri e apparecchi radio (e anche la professione del broker). 

– Una seconda radice del rifiuto del diffusionismo era ideologica. All’atto della decolonizzazione le teorie diffusioniste sono state respinte anche perché erano state condizionate da preconcetti eurocentrici e colonialisti, che portavano a negare originalità e inventiva alla maggioranza delle civiltà umane.

– Il neoevoluzionismo è stato però anch’esso pesantemente condizionato da elementi ideologici. La valorizzazione dell’autonomia politica conquistata dai paesi con un passato coloniale portava a individuare nell’autonomia un valore essenziale anche nel caso delle civiltà del passato più remoto, favorendo la tesi dell’evoluzione indipendente delle diverse civiltà, che avrebbero reinventato gli stessi elementi culturali in assenza di scambi significativi.

– Questo nobile intento aveva finito però, paradossalmente, con il generare una teoria che, accentuando le differenze biologiche tra le popolazioni e sopravvalutando la loro antichità, poteva fornire nuove basi pseudoscientifiche al razzismo.

– dell’unica origine africana sia del genere Homo sia della nostra specie Homo sapiens: una specie che, come tutte le altre, è nata una sola volta in un solo luogo e avrebbe potuto benissimo non nascere affatto.

– (anni ottanta) postprocessual archaeology, che ha criticato lo scientismo della tendenza precedente, assumendo le categorie fondamentali del postmodernismo filosofico e propugnando un radicale relativismo.

– Nell’ambito di questo nuovo interesse per gli scambi culturali si è riconosciuto che molte innovazioni, materiali o intellettuali, possono nascere addirittura dalla volontà consapevole di creare alternative a elementi noti della cultura di un altro popolo: esiste cioè anche una «diffusione per contrapposizione»

– Nel corso dell’evoluzione biologica capita spesso che in una specie persistano organi o strutture che hanno perso del tutto la funzione che avevano in un antenato. Tali elementi, detti vestigiali, sono spesso utili per ricostruire gli alberi filogenetici. Analogamente, se in una cultura si trova un elemento suscettibile di svolgere un ruolo importante, ma ciononostante completamente inutilizzato si può essere certi che si tratta di un relitto proveniente da una cultura diversa.

Per esempio la nozione della sfericità della Terra non svolgeva alcun ruolo nell’Europa medievale, che ignorava la cartografia scientifica, le coordinate geografiche e la possibilità di tracciare rotte marittime su base teorica. Potremmo perciò capire che una tale conoscenza, che diremo «fossile» (12), era stata ereditata da una civiltà precedente anche se non avessimo l’ampia documentazione che lo dimostra direttamente. Lo stesso esempio della sfericità della Terra, sul quale torneremo, mostra anche come sia difficile giungere a concepire due volte indipendentemente le stesse costruzioni intellettuali: si tratta infatti di un’idea che è nata una sola volta, nell’ambito della cultura greca del V secolo a.C., alla quale nessun’altra civiltà umana è mai arrivata indipendentemente. Più in generale, se con il termine «scienza» non si intende qualsiasi conoscenza sulla realtà naturale, ma un corpo di conoscenze relativamente omogeneo, basato sui due pilastri dei metodi dimostrativo e sperimentale, si può affermare che la scienza, proprio come l’uomo, è nata una sola volta e avrebbe potuto benissimo non nascere.

Chi, opponendosi al diffusionismo, sostiene che tutte le civiltà umane debbano ripercorrere ineluttabilmente lo stesso sentiero preordinato sembra lasciare in realtà ben poco spazio a quella libera creatività umana che apparentemente rivendica; ma, naturalmente, giudicare sgradevole una teoria non dimostra affatto che sia falsa. Solo lo studio della storia reale può farci scoprire se l’apparire in civiltà diverse di elementi affini dipenda dal loro essere determinati da leggi universali o da scambi culturali. La posta in gioco è in ogni caso enorme: si tratta di capire caratteristiche essenziali dell’uomo e della sua storia. 

2 – L’emergere di una storia unitaria del Vecchio Mondo

– Tradizionalmente lo spartiacque tra preistoria e storia è stato identificato nella cosiddetta. «rivoluzione urbana», che portò alla nascita della città, dello Stato e della scrittura. Anche se non si accetta l’idea che questa evoluzione sia stata un passaggio obbligato verso la «Civiltà» in senso assoluto, si è trattato certamente di un processo essenziale per generare la particolare civiltà che oggi si è estesa su scala planetaria.

– ci limiteremo a considerare le tre più antiche civiltà urbane, accomunate dal ruolo svolto in tutti e tre i casi da grandi fiumi, sorte lungo il Nilo, nella Bassa Mesopotamia tra i corsi dell’Eufrate e del Tigri e lungo l’Indo.  

– I tre processi di urbanizzazione non furono contemporanei. In Mesopotamia la formazione della prima città, Uruk, risale a circa il 3500 a.C., mentre i primi centri urbani in Egitto appaiono qualche secolo più tardi e nella valle dell’Indo quasi mille anni dopo, intorno al 2600 a.C. 

– La tesi che le tre grandi civiltà fluviali si fossero sviluppate in condizioni di isolamento è resa insostenibile dalla considerazione che l’architettura, la statuaria e le attività artigianali da cui sono nati gli oggetti che le caratterizzano ai nostri occhi richiedevano materie prime (metalli, pietre dure e legno) non disponibili localmente in nessuna delle tre pianure alluvionali. 

– Il quadro delle distanze reciproche appare comunque completamente diverso, fino ad annullarsi, se negli spazi intermedi vengono inseriti altri antichi centri urbani, molti dei quali scavati solo in epoca abbastanza recente. Alla metà del III millennio, quando l’urbanizzazione si era estesa a tutte e tre le zone considerate, tra l’Egitto e la Mesopotamia troviamo vari centri palestinesi, Biblo sulla costa mediterranea, Ebla nella Siria settentrionale e Mari sull’Alto Eufrate. In Anatolia orientale era Arslantepe6. In posizione intermedia tra la Bassa Mesopotamia e la valle dell’Indo, nell’attuale Iran, erano sorte, oltre a Susa, di cui non si era mai perso il ricordo, le grandi città di Shahdad e Shahr-i Sokhta, scavate in epoca recente7, e centri amministrativi minori, come Tepe Yahya e Tel-i Malyan. Negli attuali Turkmenistan e Afghanistan erano rispettivamente Altin Tepe e le città di Mundigak e Shortugai, legate culturalmente ai centri della valle dell’Indo. Questi ultimi, tra i quali primeggiano Mohenjo-Daro e Harappa, sorgono quindi all’estremità orientale di una vasta rete urbana che, come mostra la figura 5, si estende a occidente senza soluzione di continuità sino all’Egitto e all’Anatolia.

– V millennio: Ai naturali «prodotti primari», come carne, latte e specie vegetali esistenti in natura, si affiancano i nuovi «prodotti secondari», ottenuti con complessi procedimenti di trasformazione9: piante create ibridando specie già coltivate, alimenti e bevande prodotti grazie all’uso del lievito e della fermentazione alcolica, una varietà di prodotti caseari ottenuti dalla lavorazione del latte.

– V millennio: metallurgia, procedimenti di fusione.

– …determinando una specializzazione del lavoro nei villaggi  e un enorme incremento del commercio a lunga distanza. 

– Le diverse regioni mantengono distinte identità culturali, ma si diffonde anche una serie di elementi comuni. Si usano gli stessi mezzi di trasporto (imbarcazioni a vela, che in Mesopotamia esistevano fin dal VI millennio, e successivamente, dal IV millennio, carovane di asini da soma e carri trainati da buoi), sistemi di pesi e misure tra loro compatibili e tecniche come l’uso del sigillo, utile per garantire sia la proprietà sia la qualità dei prodotti. È in questo periodo che inizia la standardizzazione della produzione e il controllo della qualità. È proprio la rete di rapporti commerciali nata nel V millennio che rende possibile la successiva rivoluzione urbana, la cui caratteristica essenziale è appunto la creazione di zone di produzione specializzata, nelle quali gli altri beni sono importati. In particolare nelle pianure alluvionali, che permettono di realizzare ottime eccedenze agricole, sorgono città che vivono grazie all’interscambio con zone specializzate in altre produzioni, il cui ruolo è altrettanto importante.

– [esempio materie prime che viaggiavano per lunghe distanze. Lapislazzuli dall’Afganistan sino alla bassa Mesopotamia già nel VI millennio aC.]

– La conoscenza reciproca dei vari paesi era notevole: per esempio testi sumerici del III millennio a.C. parlano ripetutamente della valle dell’Indo, indicata con il nome di Melukhkha, … 1700 a.C. i testi mesopotamici smettono però di parlare di questo lontano paese, di cui si finisce col perdere il ricordo.

– Di molte innovazioni tecnologiche adottate in Egitto è possibile dimostrare l’origine mesopotamica. È questo il caso dell’aratro a trazione animale, delle bevande alcoliche, dei sigilli cilindrici e dei gettoni per la contabilità.  L’Egitto è in contatto con la Mesopotamia attraverso la Siria e la Palestina, che dal 3500 a.C. è raggiungibile con una strada che attraversa il Sinai, percorsa da carovane di asini; non stupisce che vi siano stati trovati numerosi oggetti mesopotamici anche di epoca predinastica. Anche la metallurgia…

– È proprio il ritardo nell’urbanizzazione che permette il sorgere in Egitto, già nel IV millennio, del primo grande Stato unitario, che non deve imporsi su potenti città-Stato: abbiamo un esempio di come il ritardo nell’adottare un’istituzione possa favorire l’introduzione precoce di istituzioni nuove. 

– Harappa e Mohenjo-daro

2.2 – La Scrittura

ipotesi errate di Isaac Taylor e di Ignace Gelb

– il sistema di contabilità a gettoni usato in Mesopotamia sin dal IX millennio a.C., dal quale nacque la prima scrittura, era lontano dalla pittografia, in quanto i gettoni solo raramente rappresentavano l’oggetto simbolizzato. 

– vantaggi di un sistema come quello cinese che, avendo scarse relazioni con la pronuncia, ha potuto rimanere notevolmante stabile nel tempo e nello spazio, permettendo la comprensione di testi antichi e lontani, scritti da chi parla in modo diverso dal lettore. 

– Invece di teorizzare sviluppi universali di tutti i sistemi di scrittura è quindi probabilmente più utile studiare con umiltà quelli che si sono effettivamente realizzati storicamente. 

– IV millennio: diffusione dei gettoni. 

– [3400 aC protocuneiforme che intorno al 2900 aC acquisisce elementi fonetici. E nel 2400 aC circa  prime tavolette con riportate tutte le parole di un discorso.]

– Oggi la scrittura egizia è considerata pressoché coeva di quella sumerica e qualcuno ha addirittura suggerito che possa averla preceduta. … rapporti commerciali e culturali …fanno ritenere che si tratti di un esempio di sviluppi culturali distinti ma correlati. 

– [Scritture egizia e sumerica hanno rapporti con le successive (per esempio protoelamita a sua volta correlato alla scrittura nella valle dell’Indo)]

– In definitiva la storia delle antiche scritture nelle regioni finora considerate appare una storia connessa e unitaria e non una collezione di evoluzioni indipendenti e parallele. 

2.3 Dai Balcani alla Mongolia.

– Da un punto di vista retrospettivo la sede della cosiddetta «rivoluzione urbana» può forse costituire a ragione un oggetto privilegiato della storiografia, ma culture sorte in altre regioni, oltre a seguire percorsi di sviluppo anch’essi molto interessanti, avevano anche fornito elementi fondamentali alle successive civiltà urbane. I contatti sono stati quindi essenziali, ma non hanno seguito affatto l’unica direzione «centrifuga» ipotizzata dagli antichi teorizzatori dell’iperdiffusionismo. La nascita delle più antiche civiltà storiche appare piuttosto sempre più un effetto della confluenza di elementi di varia provenienza. Nel VI e V millennio a.C. la cultura più ricca e complessa dell’Eurasia era nella penisola balcanica. 

– Questa cultura, che è stata detta «Antica Europa» (Old Europe), aveva dato un contributo essenziale allo sviluppo della metallurgia, i cui progressi si erano diffusi dalla penisola balcanica al Vicino Oriente attraverso l’Anatolia, ma intorno al 4000 a.C. subisce un improvviso tracollo, dovuto probabilmente, almeno in parte, a un brusco cambiamento climatico.

Una cultura che in molti sensi può essere considerata erede dell’Antica Europa è quella di Cucuteni-Tripolye, estesa dalla Romania all’Ucraina occidentale e fiorita all’incirca tra il 4200 a.C. e il 3500 a.C.

…  È qui che nasce un altro elemento essenziale delle successive civiltà urbane: vi si sviluppano infatti per la prima volta vasti insediamenti basati sull’architettura in pietra. Non sono considerati «città» perché non vi è evidenza archeologica delle caratteristiche proprie dei centri urbani: non solo mancano le grandi strutture pubbliche (tempio e/o palazzo) che sono presenti in quasi tutte le «città» successive, ma non vi sono neppure prove della specializzazione del lavoro tipica delle civiltà urbane. Alcuni insediamenti sono però giganteschi, superando le dimensioni di Uruk, che sorgerà successivamente in Mesopotamia ed è considerata la prima vera «città»; le sepolture testimoniano una certa differenziazione sociale e anche gli edifici non sono tutti eguali: a un 90% di abitazioni «piccole» si affianca un 10% di edifici notevolmente più grandi. È chiaramente impossibile collocare una società con queste caratteristiche all’interno dell’ingenua «scala evolutiva» in cui si era voluto comprimere lo sviluppo di tutte le civiltà umane

– Lo schema evolutivo tradizionale è d’altra parte contraddetto anche dal fatto che prima della metà del IV millennio la cultura di Cucuteni-Tripolye, come era accaduto all’Antica Europa, subisce uno dei tanti «collassi» della storia, differenziandosi in una serie di varietà regionali, accomunate dalla rinuncia ai grandi insediamenti stabili e dal prevalere di un’economia più mobile. 

Un’altra zona che ha svolto un ruolo essenziale nello sviluppo culturale dell’Eurasia è quella delle steppe che si estendono a nord del Caucaso, tra il Mar Nero e il Mar Caspio e più a nord, tra il Dnepr e gli Urali. È qui che nel V millennio a.C. viene per la prima volta addomesticato il cavallo, inizialmente come animale da carne, ed è qui (forse nello stesso millennio e certamente nella prima metà del successivo) che si concepisce per la prima volta l’idea di cavalcare.

– Nel IV millennio a.C. vi sorge la lingua protoindoeuropea, dalla quale discendono molte delle lingue parlate oggi29; i contatti commerciali e culturali sono intensi sia a occidente, con la zona di Cucuteni-Tripolye, sia successivamente con la Mesopotamia. È alla metà del IV millennio, o poco prima, che nel Caucaso appare la cultura Maikop, nella quale i capi ostentano grandi ricchezze ottenute grazie all’opera di mediazione commerciale tra la nascente civiltà urbana mesopotamica e le steppe a settentrione.

– carri dotati di ruote, trainati da animali. Questi veicoli appaiono intorno alla metà del IV millennio a.C. in una zona vastissima, che va dalle attuali Danimarca e Germania settentrionale alla Mesopotamia meridionale.

– Alla fine del IV millennio a.C. l’introduzione del cavallo e dei carri con ruote cambiò radicalmente le possibilità di vita nelle steppe eurasiatiche, estese dall’Ungheria alla Manciuria con una notevole omogeneità ecologica.

– Tocario: lingua di origine indoeuropea parlata fino al IX secolo nel bacino del Tarim in Cina)

– A cavallo tra il III e il II millennio si formò un ulteriore canale di comunicazione tra il Vicino e l’Estremo Oriente: il cosiddetto «complesso archeologico battriano-margiano», che si estendeva nei territori dell’odierno Iran nord-orientale, Turkmenistan, Afghanistan settentrionale, Uzbekistan meridionale e Tagikistan occidentale. Si tratta di una cultura urbana, con grandi insediamenti fortificati, in stretto contatto sia con i centri della valle dell’Indo, con i quali condivideva alcuni caratteri, sia con le culture delle steppe.

2.4 L’antica civiltà cinese

– Tutto fa ritenere che in Cina, come in ogni altro luogo, la formazione di uno Stato centralizzato sia stata preceduta da una situazione più fluida, nella quale l’assenza di frontiere permetteva variazioni culturali continue attraverso regioni vastissime percorse da rotte commerciali.

– Il sorgere della civiltà urbana in Cina è caratterizzato dallo sviluppo dell’industria del bronzo.

– è stato pienamente dimostrato che la metallurgia, in particolare del bronzo, non è stata riscoperta dai Cinesi indipendentemente, ma si è diffusa lungo le steppe eurasiatiche45 e le foreste settentrionali46, da occidente a oriente, fino alla Mongolia e alla Cina nord-occidentale e settentrionale. 

– Ad Anyang sono state rinvenute altre due categorie di oggetti, risalenti a circa il 1200 a.C., particolarmente interessanti ai nostri fini: le famose iscrizioni oracolari e carri trainati da cavalli. I carri in genere erano stati sepolti insieme ai cavalli e ai cocchieri (ad Anyang sacrifici umani, anche di massa, sono documentati con regolarità). Mentre in Mesopotamia i primi veicoli a trazione animale avevano avuto ruote piene ed erano stati trainati da buoi e altri animali, in Cina appare direttamente il prodotto finale della loro lunga evoluzione. I carri trovati ad Anyang sono infatti leggeri e veloci, con due sole ruote a raggi, trainati da due cavalli appaiati: una soluzione possibile solo con guidatori molto esperti. Poiché prima di allora non è documentato in Cina né alcun uso del cavallo né alcun altro impiego di ruote, è difficile dubitare dell’origine esterna di questi veicoli. I carri cinesi sono molto simili a quelli che erano da tempo in uso in Egitto e in Medio Oriente, ma ne differiscono in alcuni dettagli: in particolare sono più grandi e le ruote hanno più raggi. Oggi sappiamo che i carri a due ruote erano nati nelle steppe 

– Le ossa incise con responsi oracolari, risalenti a circa il 1200 a.C., trovate ad Anyang insieme con alcune coeve incisioni su bronzo, rappresentano la prima documentazione della scrittura in Cina. Si tratta di un sistema pienamente sviluppato, che si av vale di diverse migliaia di logogrammi, decifrati solo in parte, per riprodurre il linguaggio parlato, come il cuneiforme era riuscito a fare solo dopo molti secoli di sviluppo. 

– Oggi l’ipotesi di una Cina isolata non può più essere detta solo improbabile, essendo contraddetta da fatti pienamente documentati: i contatti con l’occidente non solo sono stati essenziali per lo sviluppo tecnologico cinese, come abbiamo visto nei casi della metallurgia, dei carri e dell’addomesticamento del cavallo, ma hanno riguardato anche altri aspetti della cultura, come la religione (53). 

– Per «città» non si intende un qualsiasi agglomerato sufficientemente numeroso di abitazioni. Ne sono state proposte varie definizioni, basate su elementi come la presenza di produzioni specializzate, edifici
«pubblici» (palazzo e/o tempio) e gruppi sociali non impegnati direttamente nella produzione ma in attività di gestione. 

America dimenticata di Lucio Russo3 – Vecchio e Nuovo Mondo

3.1 Il grande laboratorio del neoevoluzionismo

– Se si prescinde dal continente americano, la tesi neoevoluzionista degli sviluppi indipendenti e paralleli delle civiltà è chiaramente insostenibile. Da una parte, infatti, i progressi dell’archeologia rendono sempre più evidente che le civiltà che hanno seguito un percorso analogo, giungendo successivamente all’agricoltura, alla rivoluzione dei prodotti secondari, alla scrittura, alla civiltà urbana e allo Stato non erano affatto indipendenti, ma erano legate tra loro sin da tempi antichissimi da una fitta rete di relazioni; dall’altra sappiamo di molte popolazioni (nell’Africa subsahariana, in Siberia, in Australia e in Oceania) rimaste sostanzialmente estranee a tutti questi sviluppi, che non hanno conosciuto né la rivoluzione neolitica né quella urbana, né invenzioni come la ruota. 

– La ruota appare in genere una banale applicazione del rotolamento che può essere osservato in natura, dimenticando che il suo uso richiede in realtà un complesso sistema, senza alcuna analogia in natura che, unendo in modo allo stesso tempo stabile ma non rigido parti sconnesse, riesca a trasformare il moto di rotolamento nel moto traslatorio del carro. 

– Se qualcuno volesse usare la mancata invenzione della ruota per sostenere, per esempio, una presunta inferiorità intellettuale degli aborigeni australiani, potremmo rovesciare il suo ragionamento sostenendo l’inferiorità di tutte le culture che non sono riuscite a inventare il boomerang. 

Sembra in effetti che in assenza di scambi le culture tenderebbero a divaricarsi «a cespuglio», come avviene alle specie biologiche. È però anche vero che non tutte le culture si sono evolute allo stesso modo. Alcune si sono sviluppate in modo più complesso: non certo quelle prodotte da presunte etnie «superiori», ma semplicemente quelle che hanno potuto beneficiare di più scambi. La Tasmania illustra questo punto con particolare chiarezza. La sua popolazione, vissuta per circa diecimila anni in un completo isolamento che ne avrebbe dovuto fare un oggetto privilegiato di studio per i seguaci del neoevoluzionismo, invece di evolversi verso società di complessità crescente, come previsto dalle teorie di tali studiosi, si è trasformata infatti nella direzione opposta, approdando alla cultura materiale più semplice nota sul pianeta 

– il Nuovo Mondo è stato usato come un gigantesco laboratorio in cui si dimostrerebbe la presenza di leggi universali che governano l’evoluzione di tutte le società umane in un’unica direzione. L’argomento è naturalmente basato sul presupposto (spesso assunto implicitamente come ovvio) che gli oceani abbiano costituito una barriera invalicabile, assicurando l’assoluto isolamento culturale del continente americano. 

3.2 Miti, eresie e fantastorie

– A molti archeologi americani, che evidentemente basano la propria identità su elementi più geografici che storici, la possibilità di antiche influenze esterne sulle culture indigene del proprio continente appare evidentemente un attentato all’indipendenza «americana». 

3.3 Elementi culturali comuni

– Uno dei principali argomenti usati dai sostenitori di antichi contatti transoceanici tra il continente americano e il Vecchio Mondo è basato sulla coincidenza di specifici elementi culturali. Ne sono stati trovati moltissimi, nei settori più vari. [ scrittura (con cordicelle annodate, quipu), Maya giocavano con palla e dadi (patollo sudamericano e pachisi indiano), metallurgia, lo zero dei Maya, sigilli cilindrici, animali montati su ruote con raggi (fossili culturali).

– … chi invece ritiene che lo zero sia un prodotto della cultura umana, la sua presenza in Mesopotamia può apparire più plausibilmente l’effetto di un fenomeno di diffusione… opinione confortata dal fatto che nel resto del mondo lo zero è nato una sola volta, in Mesopotamia, da dove si è diffuso…

– modellini di epoca precolombiana di animali montati su ruote… Sembra un caso tipico di “fossile” culturale, cioè di un residuo proveniente da una cultura in cui esistevano veri veicoli con ruote.

3.4 La spedizione dei vichinghi in America

– Intorno al 985 Vichinghi provenienti dall’Islanda fondarono due insediamenti in Groenlandia e verso il 1000, esplorando l’oceano a occidente, coloni groenlandesi giunsero nella terra di «Vinland», ossia a Terranova e in altre zone dell’America settentrionale.

Dei due insediamenti, quello occidentale fu abbandonato intorno al 1350, mentre quello detto «orientale» (che in realtà era presso l’estremità meridionale della Groenlandia) fu attivo fino a un anno imprecisato del XV secolo.

– Come sappiamo dalla biografia scritta dal figlio Fernando, Cristoforo Colombo nel 1477, all’età di 26 anni, aveva visitato «Tile» (ossia Tule) e aveva verificato che la sua latitudine riportata nella Geografia di Tolomeo, di 63°, non era corretta, poiché egli stesso si era spinto fino alla latitudine di 73°N. Probabilmente era giunto in Groenlandia. Nel 1497 Giovanni Caboto partì da Bristol (un porto frequentato da pescherecci che si recavano in Islanda e in altri luoghi dell’Atlantico settentrionale) per raggiungere Terranova, ossia la Vinland dei Groenlandesi. 

3.5 Nell’antichità era possibile attraversare l’Atlantico?

– Ora che sappiamo che i Vichinghi non avevano avuto problemi nell’attraversare l’Atlantico in ambedue i sensi e che antiche popolazioni polinesiane, che in base a criteri tradizionali dovremmo considerare di basso livello tecnologico, percorrevano in lungo e in largo l’Oceano Pacifico.

– Sappiamo d’altra parte che la dimensione delle navi ellenistiche è stata superata solo nel periodo napoleonico … Naturalmente non è la dimensione delle navi la caratteristica principale che assicura la possibilità della navigazione oceanica. È molto più importante la capacità di stringere il vento. La tendenza a sottostimare le conoscenze antiche è stata così forte che a lungo si è sostenuto che nell’antichità non si fosse in grado di navigare di bolina. [conosciamo descrizioni tecniche in greco e in latino, tuttavia era ignota ai tempi di Colombo]

– Vedremo che nell’antichità erano state compiute molte imprese senza paralleli nell’Europa latina prima della fine del XV secolo: in particolare il cartaginese Annone (nel V secolo a.C. se non prima) aveva guidato una flotta dall’Atlantico meridionale al Mediterraneo (37), superando quella che è considerata la principale difficoltà della navigazione in quell’oceano. Non sembra quindi che vi sia alcun motivo per assumere che Fenici, Cartaginesi e Greci fossero necessariamente marinai meno abili di Polinesiani e Vichinghi.

– L’idea di raggiungere le Indie viaggiando verso occidente fu suggerita a Colombo da Paolo dal Pozzo Toscanelli, che aveva studiato la Geografia di Tolomeo (giunta in Italia da Costantinopoli all’inizio del Quattrocento e pubblicata a stampa per la prima volta nel 1475).  

4 – Possibili tracce di antichi contatti transoceanici

4.1 Fonti americane

– Sono sopravvissuti solo quattro codici Maya e la più importante opera rimasta di quella letteratura, il libro sacro detto Popol Vuh, che racconta la storia dell’origine del popolo Maya Quiché iniziando dalla creazione del mondo, non è nota nella stesura originale. Tra il 1701 e il 1703 il frate Francisco Ximénez ne trovò un manoscritto in lingua quiché trascritta in caratteri latini, risalente al primo periodo coloniale, lo copiò e ne fece una traduzione in spagnolo. 

– Ai nostri fini non è importante ricostruire l’episodio identificando i dormienti e i loro assalitori. Ci interessa qui solo la circostanza che per umiliare le vittime vengono loro sottratte barbe e ornamenti d’argento, che evidentemente costituivano due status symbol. La cosa è interessante perché è ben noto che gli indigeni americani erano glabri e l’episodio riflette evidentemente il prestigio di cui godevano antichi uomini barbuti di cui non si era perso il ricordo. La Mesoamerica precolombiana è del resto ricca di antiche rappresentazioni di uomini con la barba, che iniziano ad apparire già prima della cultura Maya, all’epoca della civiltà Olmeca. Le statue Olmeche rappresentano a volte anche uomini baffuti (oltre a molti altri glabri). 

4.2 Galline che attraversano gli oceani

– Nel suo Sumario de la natural historia de las Indias, apparso nel 1526, Gonzalo Fernandez de Oviedo scriveva: Di galline spagnole ve ne sono molte e aumentano continuamente, […] e discendono da quelle che sono state portate qui inizialmente. Ma, oltre a queste, vi sono galline selvatiche, grandi come tacchini, nere, e con la testa e il collo un po’ bruni, oppure neri come il resto. […] Sono assai moleste, e amanti di vivere nei villaggi, o nelle loro vicinanze, per poter mangiare le immondizie15. Le «galline selvatiche» di cui parla Oviedo erano evidentemente animali domestici parzialmente rinselvatichiti. I polli discendono infatti tutti da uccelli che allo stato selvatico vivono (e sono vissuti) solo in Asia meridionale, dove furono originariamente addomesticati e da dove si sono diffusi nelle altre regioni del Vecchio Mondo. 

4.3 Altri dati biologici

– le analisi effettuate sul genoma delle popolazioni native americane non mostrano alcun contributo proveniente da popolazioni non americane, tranne una sola eccezione: i Maya, al cui corredo genetico hanno contribuito significativamente antenati «toscani» e Bantu 

– Per chi nega i contatti transoceanici precolombiani è più difficile spiegare la presenza di alcuni parassiti dell’uomo, come il nematode Ancylostoma duodenale, sia in Eurasia sia nell’America precolombiana: si tratta infatti di organismi che trascorrono parte del ciclo vitale sul suolo e non sopravvivono alle basse temperature e quindi non potevano essere portati via terra dall’Asia attraverso la Beringia (l’istmo che una volta univa la Siberia all’Alaska).

– ananas sono originari della Mesoamerica e nell’antichità non erano coltivati in nessun paese del Vecchio Mondo. [rappresentati in affreschi e mosaici del periodo romano]

La figura 9 mostra varie raffigurazioni di epoca romana di un frutto che sembra essere un ananas. La statuetta a sinistra risale al III secolo d.C. ed è conservata al Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra. A destra in alto è un affresco della Casa dell’Efebo a Pompei e a destra in basso un mosaico di età augustea trovato presso Roma, in località Grotte Celoni, ora conservato nella sede di palazzo Massimo del Museo Nazionale Romano. 

4.4 Tracce archeologiche

– iscrizione punica trovata in Brasile (probabilmente un falso). Presunta spedizione cartaginese.

– terracotta romana trovata in Messico

– Quanto ai numerosi presunti ritrovamenti in America di antichi oggetti provenienti dal mondo mediterraneo che sono stati giudicati falsi, si può anche sospettare che, se il paradigma sarà mutato, un loro attento riesame potrà far cambiare qualcuno di quei giudizi, ma questo non può essere, appunto, che un sospetto. 

Parte seconda Un contributo alla soluzione: l’origine di uno strano errore

5 Un tracollo culturale

5.1 Dalla fede nel progresso alla moda dei collassi

– I collassi, cioè le drastiche regressioni a livelli più semplici di organizzazione sociale e di sviluppo culturale, non sono stati nella storia un fenomeno marginale, che ha interessato solo «vicoli ciechi» della vicenda umana, come qualcuno (certamente sbagliando1) potrebbe considerare i casi dell’Antica Europa e della cultura di Cucuteni- Tripolye 

– ripetute fasi di involuzione. Per esempio la prima urbanizzazione, caratterizzata dalla crescita della città di Uruk e di una serie di centri che da Uruk furono fondati o stimolati a nascere, finì con un tracollo che ridimensionò quasi tutti gli insediamenti al livello di villaggio 

– Il passaggio dall’età del bronzo a quella del ferro comportò un altro grave regresso dell’urbanizzazione, della complessità sociale e della cultura3 e la costruzione politica più duratura della storia umana, lo Stato egiziano dell’epoca faraonica, si è dissolta almeno tre volte. 

– crollo di città e Stati, con il conseguente ritorno alla «barbarie», è un tema ricorrente nelle più antiche letterature, 

– Secondo Platone i Greci erano periodicamente regrediti alla barbarie, perdendo l’uso della scrittura e la memoria del passato6. Anche Polibio ritiene che ogni Stato sia destinato a decadere e finire7 e attribuisce la stessa convinzione anche a Scipione Emiliano che, secondo la sua testimonianza, dopo avere raso al suolo Cartagine, avrebbe pianto sulle sue rovine pensando alla sorte simile che attendeva Roma8. L’inevitabile fine delle civiltà costituisce uno dei temi centrali della Scienza nuova di Giambattista Vico, 

– Dall’Illuminismo in poi gli autori moderni sono stati a tal punto convinti delle «magnifiche sorti e progressive» dell’umanità, sulle quali un pensatore controcorrente come Leopardi ironizza nella Ginestra, da vedere in genere come un grave limite del pensiero antico l’assenza del proprio concetto di progresso automatico. 

Nel secondo Novecento l’ingenuo ottimismo degli storici cercò di assumere una veste «scientifica» nei tentativi di costruire una teoria quantitativa della storia propri del neoevoluzionismo, ai quali abbiamo già accennato. Tali tentativi furono inseriti nella più generale teoria della complessità, che si credette di poter applicare a classi generalissime di sistemi non isolati, cui apparterrebbero le società umane, che evolverebbero sempre nel senso di una complessità crescente9.

– L’attualismo, che era apparso una necessaria conseguenza del razionalismo, ma certamente era stato alimentato anche dalla riluttanza ad accettare prove terrificanti della precarietà della nostra esistenza, ha impedito a lungo il riconoscimento da parte della scienza ufficiale delle «estinzioni di massa» (delle quali la più popolare, che portò alla scomparsa dei dinosauri, non fu la maggiore), che è tardato fino a pochi decenni fa.

– crisi petrolifera del 1973, cominciò a intaccare la fiducia nell’inevitabilità dell’evoluzione progressiva. 

– tracollo culturale che si verificò nel mondo mediterraneo a metà del II secolo a.C

– Nonostante si affermi spesso stranamente il contrario, la complessità della società umana, comunque la si voglia definire, sta infatti ai nostri tempi rapidamente diminuendo (insieme a quella della biosfera) a causa della globalizzazione, che comporta la drastica diminuzione delle lingue parlate, delle specie vegetali coltivate e dei mestieri esercitati, l’uniformazione dei prodotti su scala planetaria, la scomparsa delle caratteristiche culturali locali, la concentrazione delle conoscenze, in particolare tecnologiche, in una percentuale irrisoria della popolazione e la riduzione di gran parte dell’umanità a una massa priva di competenze e di ruoli sociali significativi. 

5.2 Gli avvenimenti del 146-145 aC

– A metà del II secolo a.C. il mondo mediterraneo visse una catastrofe, culminata nel biennio 146-145, che, interrompendo bruscamente uno straordinario sviluppo plurisecolare, provocò una gravissima perdita di conoscenze e soprattutto di strumenti intellettuali. 

– è chiaro che rimuovere dalla memoria collettiva i collassi culturali del passato è la migliore strategia per preparare il prossimo. 

Gli avvenimenti del biennio che ci interessa costituiscono l’epilogo di un processo che era iniziato da tempo e si era accelerato nel mezzo secolo precedente, grazie in particolare alla Seconda guerra punica e alla Terza guerra macedonica. In seguito a una serie di vittorie Roma era divenuta l’unica vera potenza del mondo mediterraneo. La novità consisté in un brusco cambiamento della politica estera. Fino ad allora i Romani avevano combattuto soprattutto per procurarsi schiavi e altro bottino, senza proporsi in genere l’obiettivo di governare i paesi vinti; nell’intraprendere la Prima guerra macedonica, per esempio, avevano stipulato un’alleanza con gli Etoli in base alla quale avrebbero lasciato loro tutto il territorio conquistato, riservando a se stessi solo il diritto di saccheggio16. In quegli anni Roma decise invece di estendere i propri domini, eliminando qualsiasi entità statale del mondo mediterraneo che nutrisse speranze di autonomia. 

– Per Cartagine non ci si limitò alla conquista, optando per la sua completa distruzione fisica. La decisione era stata già presa dal senato romano tre anni prima, nel 149 a.C., 

– Solo nel 146 a.C. Scipione Emiliano riuscì a espugnare la città, che fu rasa al suolo. I cinquantamila abitanti sopravvissuti alla guerra furono venduti come schiavi. I Romani furono così efficienti nella loro opera di distruzione da lasciare sopravvivere ben poche tracce della cultura cartaginese, 

– Certamente i Cartaginesi, come tutti i popoli del Mediterraneo, compresi gli Ebrei e i Greci dell’età arcaica, avevano praticato sacrifici umani, e certamente avevano continuato a farlo ben più a lungo dei Greci, ma è probabile che i racconti di uccisioni rituali tramandati da Diodoro Siculo (che riferisce un episodio datandolo al 310 a.C.) e da qualche altro autore20 attingano al ricordo di antiche tradizioni, estinte da tempo all’epoca delle guerre puniche. 

– Non bisogna dimenticare, d’altra parte, che all’epoca della conquista di Scipione Emiliano i sacrifici umani erano invece legali a Roma, dove furono ufficialmente aboliti solo nel 97 a.C.23. Anche prescindendo dai ludi gladiatori, che possono esserne considerati una versione alterata, secondo alcune fonti veri e propri sacrifici umani continuarono tuttavia a essere effettuati a Roma fino al tardo impero 

– la sola opera cartaginese che conosciamo, sia pure indirettamente, è il trattato di agricoltura in ventotto libri di Magone, che costituì la principale fonte di tutti gli agronomi latini successivi26. Questa circostanza non è dovuta a un esclusivo interesse dei Cartaginesi per l’agricoltura, ma al disinteresse dei Romani per tutti gli altri argomenti. 

– Diogene Laerzio riferisce infatti che un tale Asdrubale nel II secolo a.C. insegnava filosofia a Cartagine in lingua punica (nella quale, possiamo dedurne, era stato elaborato un lessico filosofico). Sappiamo dell’esistenza di Asdrubale solo perché, a differenza dei suoi probabili colleghi, all’età di quarant’anni ebbe la felice idea di lasciare la città poco prima della sua distruzione, trasferendosi ad Atene, dove mutò il proprio nome in quello di Clitomaco. 

– È superfluo ricordare che a quei tempi nessun romano era in grado non solo di scrivere, ma neppure di leggere un libro di filosofia31. 

– Il console Lucio Mummio, che nello stesso 146 a.C. in cui fu distrutta Cartagine fu inviato con un esercito in Grecia, risolse il problema con misure drastiche. Il principale centro della lega, Corinto, fu raso al suolo. Subito dopo Roma sciolse la lega e incorporò, almeno di fatto, tutta la Grecia nei suoi domini (anche se alcune regioni rimasero per qualche tempo formalmente indipendenti). 

– profonda crisi, anche morale, in cui cadde la Grecia fu un grave decremento demografico. 

– Il teatro di Corinto, come molti altri in Grecia, era dotato di un raffinato sistema acustico, che si avvaleva, tra l’altro, di risuonatori di bronzo (38). Nessun romano era allora in grado di capire di cosa si trattasse. 

– La strage nel ginnasio fu solo un episodio dell’opera di annientamento dell’intellighenzia della città di Alessandria. Sugli effetti della politica di questo monarca Strabone ci riferisce la testimonianza di Polibio: Polibio, che visitò la città, fu disgustato dalle sue condizioni a quel tempo […]. Quando costoro [gli Alessandrini di origine greca] furono in gran parte sterminati, appunto da Evergete Pancione, durante il cui regno Polibio venne ad Alessandria, – il Pancione infatti, reagendo ai tentativi di rovesciarlo, più volte mandò i soldati contro il popolo e lo fece massacrare – la città cadde in un tale stato che davvero, come dice il Poeta, andare in Egitto è un viaggio lungo e penoso 

– Un rinnovamento dell’intero sistema culturale si verificò poi con Tolomeo VII re d’Egitto, quello che a buon diritto gli Alessandrini soprannominarono «il Malfattore»; costui infatti massacrò molti abitanti di Alessandria e costrinse all’esilio non pochi di quelli che erano stati giovani ai tempi di suo fratello, riempiendo così isole e città di filologi, filosofi, cultori della geometria e della musica, pittori, istruttori di ginnastica, medici e numerosi altri professionisti; questi, costretti dalla povertà, si dedicarono all’insegnamento delle loro conoscenze e così formarono parecchi illustri studiosi

5.3 Il collasso culturale

– [Alessandria, biblioteca al tempo della crisi era guidata da Aristarco di Samotracia]

– I Romani delle classi superiori vennero in contatto con la civiltà ellenistica attraverso le biblioteche e le opere d’arte depredate e soprattutto grazie all’uso di Greci ridotti in schiavitù come scrivani, precettori, segretari, bibliotecari e consulenti. Il risultato fu un graduale processo di incivilimento delle élite nell’arco di tre o quattro generazioni, ma mentre la produzione letteraria e storiografica in lingua latina, partendo dai modelli greci, ebbe sviluppi interessanti, nulla di simile fu possibile per la filosofia e ancor meno per la scienza. 

– il progetto di cultura unitaria che Cicerone promuove, anche come strumento di formazione della classe dirigente destinata al governo dello Stato, è centrato nell’oratoria, sfiora appena la filosofia ed è completamente estraneo alla scienza. 

– Notiamo incidentalmente che il Rinascimento italiano ha tratto larga ispirazione da Cicerone, e in particolare dal De oratore, per l’organizzazione degli studia humanitatis, che hanno influenzato profondamente la cultura europea, e in particolare italiana, dei secoli successivi60. Ancora oggi sopravvive una concezione degli studi umanistici di stampo ciceroniano, che genera in molti una reazione di rigetto contro l’intera eredità culturale classica. 

– Notiamo incidentalmente che il Rinascimento italiano ha tratto larga ispirazione da Cicerone, e in particolare dal De oratore, per l’organizzazione degli studia humanitatis, che hanno influenzato profondamente la cultura europea, e in particolare italiana, dei secoli successivi60. Ancora oggi sopravvive una concezione degli studi umanistici di stampo ciceroniano, che genera in molti una reazione di rigetto contro l’intera eredità culturale classica. 

– Tra le conquiste più significative della civiltà ellenistica vi era stato lo sviluppo del convenzionalismo linguistico, che aveva costituito un aspetto essenziale del nuovo metodo scientifico: per la prima volta alcuni uomini si erano sentiti liberi di creare arbitrariamente termini con cui designare concetti e questa consapevolezza aveva reso possibile la creazione sistematica di concetti nuovi. Tra i primi artefici di questa rivoluzione culturale vi era stato Erofilo di Calcedonia, che, avendo introdotto la dissezione anatomica umana come metodo di ricerca, aveva creato anche una terminologia nuova e convenzionale per descrivere le proprie scoperte anatomiche. Gli anatomisti di epoca imperiale usano Erofilo come fonte essenziale ma, essendo tornati a una concezione statica della lingua, non possono più comprenderne la metodologia e in particolare la sua introduzione di nuovi termini anatomici.  

– [Erofilo, lavoro pionieristico sulla psichiatria]

– Per fare un esempio in un altro campo, ricordiamo che gli scienziati ellenistici avevano capito che non è possibile determinare quale corpo sia fermo in assoluto, in quanto le percezioni visive possono dare informazioni solo sul moto relativo tra osservatore e oggetto osservato. Euclide aveva espresso questo concetto in forma estremamente chiara: Se si muovono nella stessa direzione l’occhio e diversi corpi che si spostano con velocità diversa, quelli che si muovono con la stessa velocità dell’occhio sono giudicati fermi, quelli più lenti appaiono muoversi all’indietro e quelli più veloci in avanti66. 

– L’idea della relatività del moto era nata in stretta connessione con quella dei moti della Terra. Quando fu abbandonata, insieme ad essa scomparvero sia l’eliocentrismo, che risaliva ad Aristarco di Samo, sia la più antica idea della rotazione diurna della Terra, che era stata proposta per la prima volta da Eraclide Pontico, nel IV secolo a.C.68 

– L’idea della relatività del moto era nata in stretta connessione con quella dei moti della Terra. Quando fu abbandonata, insieme ad essa scomparvero sia l’eliocentrismo, che risaliva ad Aristarco di Samo, sia la più antica idea della rotazione diurna della Terra, che era stata proposta per la prima volta da Eraclide Pontico, nel IV secolo a.C.68 

– La tendenza a rimuovere la frattura culturale di cui ci stiamo occupando spinge in genere a confinare nell’ambito dell’eccezione «in anticipo sui tempi» l’antica teoria eliocentrica, retrodatando gratuitamente il suo rifiuto (che è documentato nell’Almagesto di Tolomeo) agli astronomi immediatamente successivi ad Aristarco di Samo, dei quali non abbiamo opere; in realtà diverse fonti pretolemaiche testimoniano che l’idea eliocentrica era rimasta ben viva nell’astronomia ellenistica e si era anche sviluppata generando una forma di meccanica celeste69. La sfera cristallina delle stelle fisse aveva perso la sua utilità quando si era capito che il moto diurno rigido delle costellazioni è un’illusione dovuta alla rotazione terrestre ed era stata perciò abolita già da Eraclide Pontico nel IV secolo a.C.70, lasciando in sua vece una superficie sferica teorica, utilizzata come modello matematico per localizzare le stelle. Dopo il collasso culturale, la sfera delle stelle fisse riacquistò tutta la sua pesante corporeità, nella quale crederà ancora Keplero nel XVII secolo.  

– Dopo il collasso culturale, la sfera delle stelle fisse riacquistò tutta la sua pesante corporeità, nella quale crederà ancora Keplero nel XVII secolo. 

– Virgilio Schiaparelli

– Crisippo La perdita delle loro opere ha reso a lungo difficile cogliere l’incolmabile distanza che separa i filosofi ellenistici dagli studiosi di epoca romana, distanza che è tuttavia riconoscibile dalle testimonianze sopravvissute ed è divenuta molto più chiara grazie ai lavori del secondo Novecento, in particolare sulla logica stoica. 

– Sesto empirico

– L’entità della distruzione può essere apprezzata riflettendo sul fatto che le poche macerie sopravvissute dell’antica cultura hanno continuato a stimolare gli sviluppi scientifici nei due millenni successivi: dalla scienza araba, inconcepibile senza lo studio dei trattati ellenistici, alla rivoluzione copernicana, generata dal recupero della teoria eliocentrica di Aristarco di Samo, alla riproposizione dell’antica idea che le malattie potessero essere trasmesse da germi invisibili (77), al sorgere della meccanica celeste, stimolata anch’essa dalla lettura di antiche opere(78), all’introduzione della teoria dei numeri reali, originata dalla traduzione in un nuovo linguaggio di una definizione di Euclide79, fino a moderni sviluppi della psicologia80 e della logica proposizionale.

5.4 Il restringersi degli orizzonti geografici

– dopo il collasso culturale, studiosi come Strabone tornarono infatti a una geografia descrittiva e non usarono più le coordinate sferiche (latitudine e longitudine). 

– Anche Polibio, nonostante nel 145 a.C. fosse sulla sessantina, per le sue vicende personali può essere assimilato agli intellettuali postcrisi. Uomo colto e intelligente, appartenente a un’illustre famiglia greca, ha una formazione di militare e politico 

– Per illustrare gli effetti del collasso sulle conoscenze geografiche, in questo paragrafo ricorderemo brevemente (per quanto ci è nota) la loro estensione precedente, che il più delle volte è dimenticata. Per esempio nell’immaginario collettivo è profondamentre radicata l’idea, trasmessa anche da Dante, che le Colonne d’Ercole fossero state considerate «nell’antichità» un limite invalicabile (82). La falsità di questo luogo comune è resa evidente innanzitutto dall’esistenza di importanti porti al di là delle Colonne d’Ercole, che ovviamente vivevano soprattutto di navigazione nell’Oceano Atlantico. Il più antico di cui abbiamo notizia, Tartesso, era in un luogo non identificato della costa iberica, forse non lontano dalla foce del Guadalquivir, e fu distrutto dai Cartaginesi nel VI secolo a.C. 

 Fenici avevano fondato varie città portuali sulle coste atlantiche: le più importanti erano, sulla costa africana, Lixos e Mogador e su quella iberica Cadice, che nei secoli IV e III a.C. era divenuto un importante centro commerciale concorrente di Cartagine;

– Le acque dell’Atlantico erano state percorse da navi di varia provenienza sin dall’epoca preclassica. Sappiamo da Erodoto che già nel VII secolo a.C. l’Africa era stata circumnavigata da navigatori fenici per incarico del faraone Neco II85. Partite dal Mar Rosso, le navi fenicie avevano costeggiato l’Africa in senso orario ritornando attraverso le Colonne d’Ercole dopo un viaggio durato tre anni. 

– Sole a destra, ossia a nord. A Erodoto, che evidentemente si riferisce al tratto del viaggio compiuto verso ovest, a sud del continente africano, la circostanza appare incredibile, poiché ritiene la Terra piatta e crede che il Sole debba sempre percorrere il suo tragitto lungo un’orbita inclinata verso sud.

– L’impresa di circumnavigare l’Africa, che secondo Erodoto era stata tentata senza successo anche da parte del persiano Sataspe nel V secolo a.C.87, era considerata possibile anche da fonti greche del IV secolo a.C.88. Secondo Plinio vi era riuscito, nel II secolo a.C., anche Eudosso di Cizico, che, dopo essere stato espulso dall’Egitto, avrebbe raggiunto Cadice partendo dal Mar Rosso89. Dopo le conquiste romane non vi riuscì più nessuno prima del viaggio di Vasco da Gama del 1497-1498.

Sappiamo del viaggio lungo le coste atlantiche dell’Africa di una flotta al comando del cartaginese Annone (certamente prima del IV secolo a.C.; probabilmente nel V) perché è fortunosamente sopravvissuta una traduzione in lingua greca (monca e probabilmente alterata) del suo resoconto90. La spedizione di Annone raggiunse l’Africa equatoriale, quasi certamente fino all’attuale Gabon91, e – questo è l’aspetto più interessante! – tornò certamente indietro, nonostante i venti e le correnti rendano difficilissima la navigazione lungo le coste atlantiche dell’Africa in direzione sud-nord. Probabilmente la navigazione cartaginese nell’Atlantico non era solo costiera.

Due autori ci informano sulla spedizione di un altro cartaginese, Imilcone, che aveva navigato nell’Atlantico del Nord, anch’egli nel V secolo a.C.

– Tra le spedizioni nell’Oceano Atlantico di cui è rimasto il ricordo, vi sono quelle di due navigatori provenienti da Massalia: Eutimene e Pitea. Alcuni hanno supposto che tali esplorazioni fossero state rese possibili da particolari accordi con Cartagine, ma è anche possibile che il controllo punico dello stretto non fosse così rigoroso come si è in genere ritenuto. Nel caso di Pitea parte degli studiosi ritiene probabile che avesse raggiunto le coste atlantiche attraverso la rete fluviale della Gallia, senza passare le Colonne d’Ercole.

Eutimene, probabilmente intorno al 500 a.C. (ma la data è molto incerta e vi è stato anche chi ha voluto collocarlo nel IV secolo a.C.) aveva navigato lungo le coste atlantiche dell’Africa, ma ci restano scarsissime notizie sul resoconto che aveva scritto del suo viaggio: sappiamo solo che aveva raggiunto la foce di un grande fiume, che è stato congetturalmente identificato con il Senegal, e aveva stranamente immaginato che potesse trattarsi del Nilo

– Pitea, il cui viaggio va collocato probabilmente negli anni Venti del IV secolo a.C.95, aveva raggiunto tra l’altro il circolo polare artico, approdando nell’isola di Tule (la cui identificazione ha posto grossi problemi96), e la banchisa polare. Pitea aveva anche interessi scientifici, come provano i frammenti della sua opera che si occupano delle maree e della determinazione del Polo Nord celeste, e dette probabilmente un contributo alla nascente scienza della geografia matematica; certamente costituì un’importante fonte dell’opera geografica di Eratostene ed era considerato attendibile anche da Ipparco… il rattato di Pitea, considerato inattendibile, non fu più copiato e andò perduto; 

– [Plutarco riferisce di Demetrio di Tarso avrebbe esplorato le isole britanniche. Un altro greco, Ofela, in epoca imprecisata, avrebbe esplorato le coste atlantiche dell’Africa]

– Le spedizioni nell’Atlantico ebbero apparentemente una brusca fine con gli eventi del 146-145 a.C. I Romani non si curarono, infatti, di subentrare a Cartagine nel controllo delle rotte oceaniche. Nello stesso 146 a.C. in cui aveva distrutto la città nemica, Scipione Emiliano mandò in effetti Polibio a esplorare con una flotta le coste atlantiche dell’Africa107, probabilmente utilizzando informazioni raccolte a Cartagine e marinai cartaginesi, ma sembra che il risultato della spedizione (sulla quale abbiamo ben scarse notizie) sia stato del tutto negativo. 

Non sappiamo infatti di nessun altro viaggio nell’Oceano Atlantico organizzato dai vertici dello Stato romano nel secolo successivo. Inoltre Polibio, dopo la sua spedizione, diffuse scetticismo sulla possibilità di circumnavigare l’Africa108 e discredito sul trattato di Pitea109; egli stesso riferisce anche che i Massalioti interrogati da Scipione non avrebbero avuto nulla di interessante da dire sulle rotte atlantiche.

– Quanto alle rotte verso oriente, va innanzitutto ricordato che forse già in epoca faraonica (nel VII secolo a.C., ai tempi del faraone Neco II) era stato possibile navigare dal Mediterraneo all’Oceano Indiano grazie allo scavo di un canale che collegava il Mar Rosso a un ramo del Nilo. Certamente tale canale, del quale restano ancora tracce archeologiche, era stato scavato, se non ripristinato, all’epoca della dominazione persiana dell’Egitto, durante il regno di Dario I (522 a.C.-486 a.C.)113 ed era stato poi riattivato in epoca ellenistica da Tolomeo II Filadelfo (re dal 285 al 246 a.C.)114; risale al regno del Filadelfo anche l’esplorazione delle coste orientali dell’Africa compiuta per conto del re da Timostene di Rodi. 

– dalla seconda metà del III secolo a.C., intensi rapporti tra la civiltà ellenistica e i paesi dell’Estremo Oriente furono assicurati prima dal regno greco-battriano, la cui capitale era nell’attuale Afghanistan, e poi dal regno indo-greco fondato da Eutidemo 

– Le interazioni culturali tra il mondo ellenistico e la Cina, che non potevano non accompagnare l’intenso commercio lungo la via della seta, sono però documentabili su base archeologica, in particolare esaminando prodotti artistici e tecnologici cinesi che mostrano influenze ellenistiche 

– il primo viaggio in India di Eudosso di Cizico e la stesura della famosa opera Sul Mare Eritreo di Agatarchide di Cnido (all’epoca si dava il nome di Mare Eritreo agli attuali Mar Rosso, Mare Arabico e Golfo Persico). 

– [Seneca irride le antiche opinioni di Eutimene che assicurava che ai suoi tempi le coste occidentali dell’africa erano ben note alle navi mercantili.

– Plinio descrive paesi quasi sempre avvolti nella leggenda. Il resto del mondo lo crede abitato da popolazioni mostruose. In Africa descrive, tra gli altri, gli Egipani, metà uomini e metà bestie, i Trogloditi che non sanno parlare ma solo emettere stridii, i Blemnii, senza testa e con occhi e bocca in mezzo al petto129, e i Cinamolgi con la testa di cane130; crede che nel settentrione dell’Europa vi siano gli Arimaspi con un occhio solo131 e tra le strane genti dell’India pone gli Astomi, che non hanno bocca e si nutrono di odori, e i buffi Sciapodi, che per difendersi dal caldo avrebbero l’abitudine di stendersi facendosi ombra con l’unico grande piede.

note

56 – Per fare solo due esempi tra i tanti possibili, termini come «induzione» e «probabilità» nascono nel loro significato filosofico e scientifico dalle scelte di Cicerone di creare il termine latino inductio come calco del greco ἐπαγωγή e di tradurre con probabilis il termine πιθανός, nel senso filosofico in cui era stato usato da Carneade. 

80 – Particolarmente importante fu il recupero, nella psicologia della percezione di fine Ottocento, del ruolo svolto dall’assenso attivo del soggetto, che Crisippo aveva detto συγκατάθεσις e fu reintrodotto in psicologia grazie a studiosi tedeschi esperti di filosofia antica.

81 – Si può notare che uno dei primi risultati della logica proposizionale moderna fu il recupero, operato da Frege nel 1879, della definizione di proposizione condizionale che era stata data da Filone il Dialettico. Questa circostanza è in genere stranamente ricordata per illustrare la capacità di Filone di anticipare risultati successivi di millenni e non, più semplicemente, per illustrare la fecondità degli scambi presenti nella cultura tedesca di fine Ottocento tra discipline scientifiche e filologia classica. Per iniziare a comprendere la logica proposizionale stoica bisognò aspettare la metà del XX secolo. 

98 – La Storia sacra di Evemero, della quale rimangono frammenti, descriveva una città ideale situata in un’isola immaginaria ed è stata fonte di ispirazione per tutta la successiva letteratura utopistica.

6 – La geografia matematica e le dimensioni della Terra

6.1 Il sorgere della geografia matematica

– Un necessario presupposto della geografia matematica è la conoscenza della forma sferica della Terra.

– [primo passo a Mileto nel VI sec aC da Anassimandro

Anassimandro aveva anche disegnato una carta dell’intero mondo, della quale sappiamo poco. Abbiamo qualche notizia in più su quella realizzata successivamente dal suo concittadino Ecateo, attivo nella seconda metà del VI secolo, nella quale erano rappresentate tutte le coste del Mediterraneo e del Mar Nero. Non sembra tuttavia che vi fosse alcuna relazione tra queste due carte (che certamente non incorporavano dati quantitativi) e le nuove idee sulla forma della Terra.

– L’idea della forma sferica della Terra può essere considerata il risultato di una generalizzazione della concezione di Anassimandro, ottenuta estendendo a tutte le direzioni l’equivalenza da lui individuata tra alto e basso. Questo importante passo sembra sia stato compiuto nella prima metà del V secolo da Parmenide2, al quale è attribuita anche una prima divisione della superficie terrestre in «zone» climatiche.

– Nella prima metà del IV secolo la nozione della sfericità della Terra, fatta propria da Platone e da Eudosso di Cnido, si impone nella cultura greca. In quest’epoca sembrano nascere anche le nozioni di equatore e di tropico. È probabile che un importante contributo allo sviluppo di questi concetti sia stato dato da Eudosso, ma non è possibile documentarlo.

– Pitea, che coniugava le sue capacità di navigatore ed esploratore con genuini interessi scientifici, dette probabilmente anche un contributo personale alla nascita della nuova scienza. Aristotele aveva riportato la prima stima a noi nota delle dimensioni della Terra, che valutava la lunghezza della circonferenza terrestre 400.000 stadi4. Un importante contributo alla nascita della geografia matematica fu dato dal suo allievo Dicearco, che determinò un parallelo fondamentale, ossia individuò una successione di località (che includevano gli stretti di Gibilterra e di Messina) poste tutte approssimativamente alla stessa latitudine. La stima dell’obliquità dell’eclittica5 a 1/15 di giro (ossia 24°) era con ogni probabilità più antica (risalendo forse a Enopide di Chio, del V secolo). All’inizio del periodo ellenistico erano così già acquisiti i principali elementi della geografi matematica, che apparirà in forma compiuta nell’opera di Eratostene.

6.2 Eratostene di Cirene

– Nonostante la perdita quasi totale dei suoi scritti, abbiamo chiare prove del valore di Eratostene come matematico. Ci restano la descrizione del mesolabio, un ingegnoso apparecchio meccanico da lui ideato con il quale era possibile calcolare radici cubiche, e alcuni titoli di lavori matematici.

– [Eratostene] Sappiamo inoltre che su questi temi era in corrispondenza con Archimede, che gli dedicò il fondamentale trattato Sul metodo. Un’accurata misura dell’obliquità dell’eclittica è in genere considerato il contributo più rilevante di Eratostene all’astronomia, peraltro strettamente legato al suo lavoro di geografo.

… [studia maree, fossili marini nel Sahara, deduce spostamento della linea di costa]

… Gli interessi etnografici lo portarono, tra l’altro, alla convinzione che non si dovessero dividere gli uomini in Greci e barbari;

– il termine geografia, come filologia, è una creazione di Eratostene

– Va sottolineato che la geografia matematica di Eratostene, in quanto permette di prevedere i risultati di misure con calcoli interni a un modello matematico, è una scienza esatta e differisce quindi profondamente dalle conoscenze elaborate da filosofi presocratici come Anassimandro o Parmenide, anche se ne costituisce uno sviluppo che sarebbe altrimenti inconcepibile.

6.3 Il metodo della misura di Eratostene

– Eratostene usa un modello basato sulle seguenti assunzioni:

a. La luce si propaga in linea retta.

b. La Terra è sferica.

c. La distanza Terra-Sole è così grande rispetto alle dimensioni dei due corpi che i raggi che giungono dai vari punti del Sole sui diversi punti della superficie terrestre possono essere considerati tutti paralleli.

6.3 Il metodo della misura di Eratostene

– [misura della circonferenza terrestre,  pareri diversi sulla misura dello stadio]

6.4 Ipparco e i suoi contributi alla geografia   

– Ci è rimasto un solo suo lavoro: un commento analitico al poema astronomico di Arato (basato su un trattato di Eudosso) che si è conservato perché trascritto  insieme all’opera poetica. Conosciamo i titoli di altri tredici scritti, di alcuni dei quali abbiamo frammenti, e le testimonianze sono sufficienti per farcelo considerare il massimo scienziato dell’epoca. – Ipparco è tra i fondatori della trigonometria e i suoi raffinati contributi allo sviluppo del calcolo combinatorio sarebbero stati recuperati solo dopo più di due millenni… lavoro perduto sulla gravità … il primo astronomo a sospettare che le stelle apparentemente fisse non lo fossero realmente… compilò il primo catalogo  stellare perché i posteri potessero verificare tale eventuale moto.

7 Studiando Tolomeo si impara qualcosa su Eratostene

7.1 I trattati geografici dopo il collasso

7.2 Le coordinate riportate da Tolomeo

7.3 Il doppio errore di Tolomeo e il valore dello stadio

7.4 La misura di Eratostene riconsiderata

(Erodoto sostiene che la geometria sia nata in Egitto per l’esigenza di misurare le proprietà agricole dopo ogni piena del Nilo.  Gli “arpedonapti” o tenditori di funi erano gli agrimensori dell’epoca.)

(Erone fornisce descrizioni degli strumenti per il rilevamento topografico. La diottra è lo strumento per misurare gli angoli da cui si svilupperà il moderno teodolite. Forse lo stesso Eratostene aveva sviluppato le prime tecniche di rilevamento.)

 

8 Perché il mondo si restrinse

8.1 Il rimpicciolimento della Terra

Nel settore della geografia uno degli effetti più appariscenti della cesura culturale che separa Tolomeo dagli studiosi ellenistici è il rimpicciolimento della Terra. Tolomeo non attribuisce alla circonferenza terrestre i 252.ooo stadi di lunghezza che Eratostene aveva misurato e Ipparco accettato, ma solo 180.000.

8.2 L’origine dell’errore di Tolomeo

8.3 Si cercano le antiche Isole Fortunate

Diodoro: I Fenici mentre esploravano le coste fuori dalle Colonne d’Ercole… furono trascinati a grande distanza attraverso l’oceano da un forte vento e, dopo essere stati per molti giorni in balia delle tempeste, furono spinti sulla costa dell’isola, e avendone osservato la felice condizione e la natura, ne dettero notizia a tutti. E così gli Etruschi, che a quel tempo dominavano i mare, si proposero di inviarvi una colonia, ma i Cartaginesi glielo impedirono.

testimonianze in:

De Mirabilibus Auscultationibus (Cartaginesi colonizzarono isola disabitata)

Vita di Sertorio di Plutarco (a Cadice testimonianza di marinai di ritorno da isole atlantiche)

 

9 Il ricordo delle fonti classiche

9.1 La rotta occidentale per le indie

9.2 Il continente oltre l’Atlantico nelle trattazioni geografiche

 – Ipparco sapeva che le maree dei due oceani hanno caratteristiche qualitative diverse (in particolare perché le diseguaglianze tra le due alte maree giornaliere, che erano state studiate da Seleuco nell’Oceano Indiano e nel Mare Arabico, dove sono vistose, non sono avvertibili nell’Atlantico) ne aveva dedotto l’esistenza di un continente intermedio. 

– Cratete di Mallo (primo direttore della Biblioteca di Pergamo) …  Le parti abitabili della terra erano così divenute quattro, separate tra loro da sud a nord dalla fascia torrida e da est a ovest da due oceani.

9.3 Il continente oltre l’atlantico nelle fonti letterarie

– Credo che un criterio spesso utile per distinguere tra le conoscenze con un’origine reale poi sconfinate nel fantastico e racconti con elementi di plausibilità nati da leggende sia lo studio della loro evoluzione nel tempo. Se i racconti divengono via via meno plausibili è lecito sospettarne un’origine realistica; quando invece gli elementi realistici aumentano al trascorrere del tempo, si può scommettere sull’origine leggendaria

 – Viaggi letterari: 

Stroria vera di Luciano…Se ci si chiede quali fossero i contenuti delle opere che Luciano fa oggetto di parodia, sembra di potere verosimilmente individuare, oltre al trattato di Pitea (dal quale è evidentemente tratto l’elemento del mare congelato) il resoconto di una traversata oceanica che, dopo aver fatto tappa alle «Isole dei Beati», approda nel continente al di là dell’Atlantico.

… Ctesia di Cnido e Giambulo …Plutarco De facie quae in orbe lunae apparet

10 Questioni chiuse e problemi aperti

10.1 Il risultato

 – Nelle scienze esatte se si introduce un’ipotesi semplice, coerente con teorie già accolte, non contraddetta da alcun fenomeno, che riesce a spiegare, anche quantitativamente, molti fatti altrimenti misteriosi e privi di relazione reciproca, non vi è dubbio che l’ipotesi divenga il fondamento di una teoria accettata2. Credo che lo stesso criterio dovrebbe essere seguito anche in storiografia e quindi che si debba assumere che le fonti di Tolomeo conoscessero con notevole precisione le coordinate delle Piccole Antille.

 – Non credo infatti che sia possibile trovare leggi generali dello sviluppo storico, ma solo che forme di ragionamento tipiche delle scienze esatte, benché il loro uso sia oggi molto più raro, possano svolgere negli studi storici un ruolo ausiliare analogo a quello svolto dai metodi fisico-chimici o statistici.

10.2 Plausibili conseguenze

 – Poiché Ipparco vive nel II secolo aC, la testimonianza di Plutarco si riferisce al secolo successivo e le raffigurazioni di ananas sono datate tra il I e il III secolo dC, è ragionevole concluderne che i viaggi verso i Caraibi fossero continuati per almeno cinque secoli

 – rotte atlantiche verso i Caraibi fossero state praticate per diversi secoli, prima a opera di navi cartaginesi e poi da parte di marinai gaditani, che continuarono a percorrerle all’insaputa dei vertici dello Stato romano.

10.3 Problemi aperti e congetture

– non siamo certi che le tecnologie nautiche dei Cartaginesi fossero significativamente migliori di quelle dei loro predecessori Fenici. Abbiamo già osservato, d’altra parte, che l’antico mito delle Isole Fortunate era stato con ogni probabilità originato da notizie su isole tropicali nelle quali il tempo non era scandito dal ciclo delle stagioni (come sembra provato dai versi di Pindaro citati nella nota 38 a p. 169) e notizie di questo tipo potevano essere arrivate ai Greci dell’epoca arcaica dai Fenici, il cui arrivo in Mesoamerica spiegherebbe anche, d’altra parte, le strane statue olmeche di uomini barbuti e baffuti.

– Non sappiamo, per esempio, se la scrittura Maya sia sorta del tutto indipendentemente da quelle del Vecchio Mondo o se la diffusione attraverso l’oceano dell’idea di poter scrivere abbia stimolato il sorgere di un sistema radicalmente diverso da tutti i precedenti.

10.4 Verso la fine del determinismo biologico?

– La dimostrazione degli antichi contatti transoceanici è interessante soprattutto perché elimina il principale pilastro a fondamento della teoria dello sviluppo parallelo di tutte le civiltà attraverso le stesse fasi.

– Diviene invece ora concepibile, anche se tutt’altro che dimostrato, che la storia umana, proprio come l’evoluzione biologica, sia il risultato di una serie di avvenimenti impredicibili e largamente casuali, che hanno disegnato particolari percorsi tra i tanti possibili, uno dei quali ha portato alla forma della civiltà alla quale siamo abituati, oggi egemone a livello planetario. 

– Il fatto che nessun’altra civiltà abbia reinventato indipendentemente il metodo scientifico, riapparso solo dove è stato possibile recuperare testi  dell’antica scienza, depone però a favore dell’ipotesi che tale metodo avrebbe potuto essere perduto definitivamente, come si può immaginare sia avvenuto in passato per altre conquiste.

– Più in generale, il venir meno di un supposto unico percorso prestabilito di evoluzione ridarebbe alla storia passata tutta la sua complessità e all’umanità attuale l’enorme responsabilità di scegliere liberamente gli sviluppi futuri.

nota: –  Il procedimento con cui l’ipotesi viene accettata sulla base della verifica delle sue conseguenze è stato detto abduzione da C.S. Peirce ed è usato sistematicamente in fisica.

11.1 Obiezioni di carattere ideologico

– È evidente che il giusto superamento della vecchia idea che la scienza potesse raggiungere Verità assolute e definitive ha generato un sottoprodotto impazzito, che, capovolgendo meccanicamente il vecchio positivismo, è approdato a un relativismo assoluto e insensato.